Dobbiamo uscire dalla pandemia con un nuovo patto di cittadinanza: fra lo stato e gli italiani, e fra l’Italia e l’Europa. Abbiamo riscoperto tutti l’importanza di uno stato che sappia aiutare i cittadini: alcune forme di tutela introdotte, come la cassa integrazione per le piccolissime imprese e i ristori per le partite Iva, sono senza precedenti e potrebbero rappresentare un primo passo verso una riforma del nostro stato sociale che elimini le disparità fra garantiti e non garantiti. Così come è stata senza precedenti la svolta europea del 2020, in direzione di politiche espansive.

Sono queste le basi del nuovo patto di cittadinanza: per rendere l’Italia un paese più moderno e allo stesso tempo più giusto (e per superare i nostri mali storici). È questo il senso di una nuova stagione che può aprirsi.

Le riforme della pubblica amministrazione e della giustizia, da realizzare come condizione per il Recovery plan, sono parte del patto: lo stato deve saper dare servizi ai cittadini e alle imprese. Ma se è così, bisogna riconoscere che c’è un pezzo ancora tutto da scrivere, fondamentale. Da sempre la base di ogni patto di cittadinanza nei paesi democratici: il fisco. L’Europa ne è consapevole: abbiamo un sistema caotico e irrazionale, che favorisce la rendita (con la flat tax sugli immobili affittati e una tassazione eccezionalmente bassa per le eredità) e vessa il ceto medio; e un’evasione spropositata rispetto agli altri paesi avanzati. L’insistenza dell’Unione su quest’ultimo punto è comprensibile: perché dovrebbe darci soldi se poi noi evadiamo le tasse?

In Italia abbiamo gli strumenti per abbattere l’evasione drasticamente, se solo lo volessimo: generalizzando il sistema di ritenuta alla fonte per le partite Iva, già introdotto per i lavoratori edili, utilizzando i big data per incrociare le dichiarazioni e le informazioni sui conti correnti (peraltro già disponibili presso l’Agenzia delle entrate) e procedendo poi all’accertamento automatico sui dati non conformi. Cifrata intorno agli 80-100 miliardi di euro, con queste misure l’evasione potrebbe essere ragionevolmente dimezzata, come ipotizza Nens, l’associazione presieduta da Vincenzo Visco. Sono miliardi che almeno in parte si potrebbero utilizzare per la stessa riforma fiscale: riducendo le tasse sul ceto medio che lavora, oggi scoraggiato da un sistema di aliquote marginali irrazionali e gravato da aliquote medie molto elevate.

Ci sono ostacoli, naturalmente. Uno è l’opposizione del Garante sulla privacy ad alcune di queste misure. Ma si potrebbe superare, se ci fosse una chiara volontà del governo. Draghi in effetti può intestarsi un’operazione di portata storica: abbattere l’evasione fiscale e, al contempo, riformare le tasse alleggerendole e razionalizzandole.

La Lega sarebbe contraria? Bene. Un’occasione in più per fare chiarezza. Articolo 1 è già convinto. Il Pd dovrebbe affiancare Draghi con decisione, incalzando su questo anche i Cinque stelle (più ambigui). Entro il 31 luglio il governo deve presentare una legge delega sulla riforma fiscale. La grande battaglia per fare dell’Italia un paese più moderno e più giusto è questa, e si apre ora.

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