Il licenziamento – la mancata conferma della nomina, fa differenza? – dopo ventidue anni dell’insegnante di religione Marco Campedelli al liceo Maffei di Verona rischia di produrre l’effetto opposto a quello voluto. La decisione sembra venire direttamente dal vescovo Zenti, come una rappresaglia dopo che tra lui e Campedelli c’era stato prima della scorsa domenica elettorale un rumoroso botta e risposta.

 Zenti invitava a votare, anche se in modo non dichiarato, il candidato del centrodestra Sboarina in nome della «famiglia voluta da Dio e non alterata dall’ideologia del gender. Campedelli gli aveva replicato con una lettera aperta in cui chiedeva se nel 2022 un vescovo potesse intervenire in modo così proditorio in una competizione elettorale.

Intanto molti – molti cattolici anche – hanno espresso pubblicamente lo sconcerto per questa decisione insensata, venerdì primo luglio a Verona c’è stato un presidio di solidarietà spontaneo per Campedelli, e sul Corriere del Veneto Stefano Allievi si chiede se questa decisione diventerà un boomerang e la curia dovrà sbrigarsi a revocare la revoca, per limitare i danni di quello che sta diventando un caso.

Già: un caso. La questione che la vicenda farsesca che la querelle Zenti-Campedelli spalanca è seria e articolata. Il primo interrogativo è evidente: perché un insegnante che insegna da 22 anni può essere da un giorno all’altro dimissionato senza motivo?

In quale altro ambito professionale in Italia potrebbe accadere una cosa del genere? Il secondo interrogativo riguarda il potere arbitrario del vescovo e della curia nella selezione dei docenti di religione cattolica.

Il terzo interrogativo, forse quello più importante, riguarda l’insegnamento della religione cattolica in sé: a 36 anni dalla firma del Concordato, non sarebbe il caso di rivedere questo impegno della scuola italiana? Il quarto interrogativo riguarda proprio l’intero impianto del Concordato: ha senso che lo stato italiano segua ancora quell’accordo?

L’ora delle religioni

La palese novità è che questi interrogativi non entrano praticamente mai nel dibattito pubblico, e riguardano invece aspetti importanti delle politiche educative. Le risposte che possiamo dare si assomigliano, sia che siamo credenti o atei, progressisti o anticlericali, e riguardano il senso sempre più problematico di una materia come l’insegnamento della religione cattolica in classe.

Allievi sul Corriere del Veneto ne sottolinea il carattere di ircocervo, «con insegnanti pagati dallo stato, ma un curriculum formativo deciso dalla chiesa cattolica, e l’obbligo del gradimento della chiesa locale per insegnare, con ingerenze anche nella vita e nella moralità privata dei docenti».

 Perché se da una parte abbiamo professori come Marco Campedelli che hanno saputo – ci sono centinaia di testimonianze di studenti e ex studenti – trasformare quelle ore in occasioni di confronto e crescita piene di intelligenza; dall’altra è chiaro che questo modello laico e critico se non è un’eccezione non è nemmeno la norma.

Non si potrebbe dunque eliminare l’ora di religione cattolica e introdurre un’ora di storia delle religioni? I vantaggi sarebbero immediati: una tutela della laicità dello stato, un rafforzamento della professionalità dei docenti, un incoraggiamento al dialogo interreligioso in un’epoca piena di fanatismi, un’internazionalizzazione della conoscenza delle culture religiose, e anche – cosa meno scontata – la spinta verso una sfida che potrebbe essere feconda anche per la chiesa cattolica italiana: quella di essere profetica.

Come è che diceva il Vangelo? Siate il sale della terra, mica un fortino che si sente assediato.

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