Dire che Antonio Ricci è un genio è ormai una frase fatta e non significa nulla. È un ultrasettantenne che capisce di televisione come pochi altri in Italia, con un curriculum che fa paura; da Fantastico ai programmi di Beppe Grillo in Rai, fino alla enorme e anomala libertà che è riuscito a crearsi a Mediaset, si dice per un accordo con l’intelligente e astuto Silvio – indipendenza che speriamo continui sotto la dirigenza dell’erede.

Drive In è stato uno dei programmi più innovatori nel panorama italiano degli anni Ottanta, sia per l’irriverenza che per il ritmo. Ricci è un anarchico nel cuore e un bastian contrario nel cervello, quindi in questo senso inevitabilmente partigiano; spara sia a destra che a sinistra, ma ormai non può non sapere quali siano i contraccolpi politici delle sue invenzioni e dei suoi sberleffi.

Personalmente gli sono grato per alcune immagini che mi hanno divertito e nutrito nel corso degli anni: Moana Pozzi vestita solo di pellicola trasparente per gli alimenti, inno alla bellezza e al consumismo “gastronomico” della cultura e della pornografia; il conduttore marocchino dell’Araba fenice, oltraggio ai leghisti e autodenuncia della tivù commerciale a cui la trasmissione stessa contribuiva (era l’epoca dei “vu’ cumpra’” sulle spiagge, comunemente intesi come “marocchini”); il primo “velinone” Edoardo Soldo, un culturista che ballava tra le ragazze, poi addirittura due “velini”, il moro e il biondo, che per poche settimane sostituirono le ragazze stesse. Ricci ha fatto la fortuna di molti aspiranti personaggi televisivi, qualcuno ha avuto un futuro e qualcun altro è sparito; ha messo le mani nel piatto, qualche volta le mani se le sarà pure sporcate, si è destreggiato in pirotecniche gimkane col Potere, alla fine ha realizzato la paradossale figura di un anarchico dotato di grande potere (mediatico). Gente che prega per un tapiro, politici che tremano per un fuori onda.

I fuori onda

Ecco, i fuori onda. Non ho mai conosciuto personalmente Ricci, da molto tempo avrei desiderato discuterci. Riguardano Striscia, naturalmente, in tutta la sua storia – fin dal fatale 1994, quando Tajani e mi pare Buttiglione furono beccati mentre parlavano di Gianfranco Fini e di come ridurne il peso all’interno della coalizione di centro destra. Più innocui quelli che prendevano di mira personaggi televisivi, per esempio conduttori famosi, con esiti molto diversi tra loro (Emilio Fede sacramentante e incazzato in studio vide crescere la sua simpatia presso il pubblico, Flavio Insinna che trattava male le maestranze dovette affrontare un bel po’ di guai).

Ma non è questo il punto: il punto secondo me è che i fuori onda non si dovrebbero proprio trasmettere. Mi ricordano il famoso discorso della “casa di vetro” che ciascuno dovrebbe augurarsi se non ha niente da nascondere. Una vita che non abbia nulla da nascondere mi pare una vita ben povera: se ci fosse una telecamera che ci tiene continuamente sotto tiro saremmo tutti (o in molti) accusabili di vilipendio della religione, di uso di sostanze stupefacenti, di rapporti extraconiugali di cui vergognarci, di accordi per raccomandare questo o quell’amico, di giudizi su persone care che non vorremmo mai rendere pubblici, di opinioni politicamente scorrettissime.

La distinzione tra quel che si pensa e quel che si dice (o si fa) è l’ipocrisia necessaria al vivere civile. «Il malvagio», scriveva Platone, «fa quel che il buono sogna». Che ora esistano i mezzi tecnici per mettere in piazza il privato più privato (intercettazioni telefoniche, recupero di mail cancellate, teleobiettivi, scene rubate col cellulare) testimonia la natura vorace e rapace della nostra società dello spettacolo. Che non è cosa buona, né da promuovere.

Un attimo di relax

Si dirà che i fuori onda di Striscia provengono da un materiale che comunque le telecamere registrano, e che chi sta dentro una trasmissione (a maggior ragione se la conduce) sa che anche nelle pause rischia di venire immortalato. Attenti, dunque. Ma come si può negare, coi ritmi frenetici della tivù, anche ai conduttori più smaliziati il respiro di un attimo di relax, la possibilità (come si dice) di lasciarsi andare o di avere una piccola crisi isterica? Poi c’è l’eterno argomento che se sei una persona pubblica tutti i tuoi comportamenti possono essere considerati pubblici, e che i politici devono coprire bene i loro fogli quando stanno in parlamento, e pararsi la bocca per nascondere il labiale.

Ma ormai, con l’invasività tremenda dei social, ciascun privato rischia di diventare persona pubblica anche non volendo. Il grande mito della “sincerità” che ha invaso la politica e il costume, la letteratura e la musica, è un altro aspetto del mito della “disintermediazione” – se (come diceva La Rochefoucauld) l’ipocrisia è un omaggio che il vizio rende alla virtù, la virtù rimasta senza omaggi finisce per assomigliare troppo al vizio dell’apparire. Siamo sicuri che la politica a cui ci appassioniamo sia quella reale, e non stia diventando una faccenda di buchi della serratura?

Torno ad Antonio Ricci. Il suo merito maggiore, in tutti questi anni, è stato di costringere subliminalmente a capire cose serie un pubblico che le cose serie non aveva tanta voglia di capirle. Ha usato l’ironia, il ribaltamento illuministico, il grottesco, il sesso e la volgarità per metterle al servizio della sua cultura situazionista di fondo; una scheggia intellettuale travestita da intrattenitore di massa. Ma stavolta non poteva non sapere che quei fuori onda sul compagno di Giorgia Meloni, sul suo machismo mediocre da italiano strafottente e belloccio, avrebbero fatto corpo unico con un lavoro costante di cecchinaggio che ha come bersaglio Meloni stessa.

Ricci, abituato a usare con cinismo le debolezze altrui, ho l’impressione che stavolta sia stato usato. Quando tutto è dissacrato, compresa la privacy, e l’unica cosa sacra rimasta sembra essere la solitudine dell’uomo con se stesso, qualunque arte performativa basata sulla dissacrazione rischia di mordersi la coda. Forse stavolta Ricci ha dimostrato suo malgrado che gli intellettuali al servizio dello spettacolo non sono liberi anche quando credono di esserlo al massimo grado. O forse è quello che voleva dimostrare – e allora ha ancora una volta ragione lui, è lui il bambino che grida che la società dello spettacolo è nuda, una Strega del Mare che divora i suoi figli migliori.

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