Il governo Draghi si è avvalso per questi sei mesi del basso profilo e della sostanziale irrilevanza politica dei due partiti cardine del precedente governo, Pd e Cinque stelle. Nel caso del Partito democratico, il drammatico cambio di segreteria e l’arrivo del papa straniero Enrico Letta dalla cattività parigina (Avignone è stata declassata…) lo hanno lasciato in surplace. Il sostegno toto corde al governo non ha incontrato nell’opinione pubblica di sinistra lo stesso entusiasmo manifestato dal segretario.

Tuttavia, a forza di enfatizzare le scelte più chiaramente progressiste dell’esecutivo, dall’intervento sulle carceri alle difesa della laicità dello stato, dal riconoscimento di forme di sostegno al reddito dei più svantaggiati al richiamo ai valori all’antifascismo, la tenacia di Letta sta smuovendo una buona quota di scettici. Molti di più, però, ne deve smuovere il nuovo leader dei Cinque stelle.

Giuseppe Conte, finalmente insediato alla guida dei pentastellati, si trova impegnato su due fronti: convincere i suoi parlamentari a non mettersi di traverso rispetto alla navigazione di Draghi, e, al contempo , rassicurare la propria base elettorale che il M5S continua a rappresentare una alternativa all’establishment. Un doppio salto mortale carpiato, per rimanere in clima di Olimpiadi. 

La prima parte dell’esercizio è più facile  per via della socializzazione politica degli eletti pentastellati alla vita istituzionale dopo molti anni trascorsi alla Camere. La seconda, invece, si presenta decisamente complessa. Perché riguarda l’identità e le prospettive del partito.

Il M5s aveva, ai suoi esordi,  un profilo da partito ecologista intessuto di visioni palingenetiche, data la sua estraneità alle dinamiche della politica istituzionale. Poi ha accentuato fino al parossismo la critica al “sistema”,  denunciando corruzioni e malversazioni politiche a 360 gradi e presentandosi come unica, vera, alternativa. Il successo è arrivato su questo terreno, quello dell’antipolitica, non sulle questioni ambientali. Ora l’orologio della politica si è messo a girare all’incontrario. 

L’ecologismo ha conquistato una priorità prima inimmaginabile e quindi i Cinque stelle, in linea di principio, ne sarebbero avvantaggianti in quanto  possono vantare una loro primazia su questo terreno. Ma per troppo tempo lo hanno relegato in un angolo a favore delle intemerate antipolitiche che gli hanno assicurato grandi consensi.

Quindi, l’esercizio d’alto equilibrismo di Conte sta nel guadagnare un ruolo nel governo insistendo sull’identità storica dell’ ecologismo grillino, opportunamente rinverdito con nuove competenze e, allo stesso tempo, nel mantenere connotati di alterità rispetto all’establishment per non perdere contatto con il proprio serbatoio elettorale.

Anche perché la diffidenza rispetto alla classe dirigente non si è azzerata con l’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi: circola ancora. E il successo di Giorgia Meloni lo conferma. Riportare nell’alveo pentastellato e, oggi nel centro-sinistra, parte di quel magma antipolitico è la sfida più ardua della nuova leadership del M5s. 

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