Forse la presenza assidua di tanti tedeschi sulla riviera romagnola ha creato un sentimento comune di resilienza. Come Angela Merkel pronunciò il suo celebre Wir schaffen das, «ce la faremo», di fronte all’arrivo di un milione di profughi nel 2015 - altro che le poche decine di migliaia su cui strepitano questi governanti da circo - , così i romagnoli travolti dalle acque dicono «ci andremo su dietro».

Non una lamentela querula, non un piagnisteo, non una invettiva gratuita. Tutti hanno visto la tempra di questo pezzo di regione, così diverso per storia, cultura e spirito dall’Emilia. Una tempra che può partire da molto lontano, dalla Ravenna capitale imperiale, di cui sono splendida testimonianza i suoi mosaici, ma che si è forgiata nell’Ottocento, sotto il tallone di ferro dello stato pontifico.

E’ in quegli anni che la resistenza ad un potere oppressivo e pervasivo si indirizzò all’ unirsi, al fare lega, cooperativa, sindacato. Per questo, non c’è traccia, contrariamente alle voci di chi ha subito catastrofi ambientali in altre zone d’Italia, di quel lamento aggressivo e vittimista, piagnone e rivendicativo...La foto del momento di distensione di una massa impressionante di volontari nella piazza di Faenza rende più di mille reportage il clima di operosità serena che pervade quei luoghi, in questi giorni. Lo spirito pubblico di un paese deve trovare qualcosa a cui aggrapparsi per riprendere fiducia in sé stesso. Gli italiani si sentono sempre più lontani delle istituzioni: lo evidenziano le ricerche, lo conferma l’impennarsi dell’astensionismo.

Eppure esiste ancora un legame tra i cittadini, un capitale sociale di una profondità e una solidità inaspettata. In alcune parti d’Italia più forte che in altre. In Romagna emerge con un vigore e una solarità sperabilmente contagiosi. Nonostante ciò, dal governo vengono segnali ben diversi. Non da parte della premier, per una volta all’altezza della situazione nonostante la goffa dichiarazione con cui ha lasciato il G7: la sua coscienza le imponeva di rientrare solo dopo aver già incontrato tutti...È Matteo Salvini che sprizza astio per quella terra che non l’ha voluto incoronare ras di tutto il paese alle elezioni regionali del febbraio 2020.

E lo riversa direttamente nei confronti del presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, proprio colui che lo sconfisse tre anni fa, opponendosi alla sua nomina a commissario straordinario, come invece è prassi di fronte ad eventi di questo genere. Il contrasto tra gli eredi della prima lega bracciantile d’Europa, fondata nel 1883 dal repubblicano Nullo Baldini, che hanno accettato di inondare i loro campi per salvare Ravenna, e il rancore di governanti come il leader leghista evidenzia tutta la differenza tra chi pensa al bene pubblico e chi coltiva le proprie misere vendette.

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