A parte qualche punto percentuale in più o in meno, i risultati elettorali hanno rispettato i pronostici: Giorgia Meloni adottata come nuova salvatrice della patria dopo, in sequenza, Renzi, Grillo e Salvini; M5S catastrofico se rapportato al 2018, bene se ai sondaggi di tre mesi fa.

Terzo polo ininfluente se non nel togliere seggi al centrosinistra; tonfo Pd, appena sopra il minimo storico delle scorse elezioni, e Lega. Registrato, finalmente, l’annuncio di un congresso del Partito democratico con Enrico Letta reggente fino ad allora, fra le conferenze stampa del dopo voto la più interessante è stata senza dubbio quella di Matteo Salvini.

Più che all’avversario di questi mesi Giorgia Meloni, le dichiarazioni del segretario sono sembrate rivolte alla classe dirigente del partito, rea, a suo dire, di averlo spinto, prima ad abbandonare il governo con i Cinque stelle, poi ad entrare in quello Draghi.

Dopo il Papeete

A dire il vero, noi ce la ricordavamo un po’ diversa, con, nel 2019, un Salvini inebriato di moijto, convinto di avere l’Italia ai suoi piedi, che si decide a liberarsi della zavorra grillina, ormai cannibalizzata, per ottenere i tanto agognati «pieni poteri». Suicidio tattico che rimarrà esempio per i posteri su come non ci si deve comportare in circostanze analoghe.

Poi, nel 2021, l’abbiamo visto ancorarsi al treno Draghi per invertire una curva dei sondaggi in caduta libera rafforzata dalla sfilza di elezioni locali perse anche, se non soprattutto, a causa delle sue infinite giravolte durante la pandemia: mascherine sì mascherine no, lockdown no, sì e ancora no, vaccini ni (questo è proprio testuale) e chi più ne ha più ne metta. Giravolte che non avrebbe potuto seguire nemmeno il suo fan più sfegatato.

Tra l’altro, spesso in rotta con i suoi governatori che con il Covid dovevano farci i conti davvero. Entrato nella nuova maggioranza pensando di utilizzarla come piattaforma elettorale in stile 2018, l’incoerenza si è persino accentuata: non solo ha dovuto abbandonare i vari Borghi e Bagnai al loro destino di no-euro e armamentario antisistema annesso, ma ha dovuto ingoiare pure il green pass e persino quello rafforzato, oltre le varie misure così ostili all’universo no-vax a cui aveva stretto la mano.

Poi, a testimoniare l’inconsistenza della sua futile propaganda totalmente disancorata rispetto ad analisi realistiche, la guerra.

Qui Salvini, non certo la classe dirigente che gli era alle spalle, ha dato il meglio di sé. Con la trasformazione pacifista dopo anni di armi impugnate a beneficio ddei social, con le umiliazioni ricevute in Polonia da coloro che si era scelto come fidi alleati, ed infine, last but not least, il cambio di idea su Putin.

La sua idea che tutto sia dovuto all’adesione a Draghi è al quanto bislacca perché, cosa dimostrata dai dati elettorali mortiferi al Sud: quei pochi che l’hanno votato sono proprio gli imprenditori del Nord ancorati in questi anni a Giorgetti, Fedriga e Zaia

Va aggiunto che ai tre citati, e al loro elettorato non importa nulla di avere il 30 per cento per fare la nuova Dc assistenzialista, preferendo di gran lunga percentuali bossiane che garantiscono ministeri chiave e possibilità federaliste.

Salvini non ha avuto il coraggio di Letta: indire un congresso atteso anche in Lega come il messia e giocarsela lì, davanti ai militanti. Ora si annuncia tempesta, col rischio concreto di destabilizzare il governo.

Non c’è da esserne troppo felici: un nuovo governo tecnico, o semi tale, sarebbe un atto di certificazione notarile per l’agonizzante democrazia italiana.

© Riproduzione riservata