Da un paio di giorni anche i Licei Tasso e Montessori di Roma - dopo diversi altri - sono stati occupati. Poco male diranno in molti: quello dell’occupazione è ormai un rituale stanco.

Eppure chi si prendesse la briga di leggere per intero il comunicato di occupazione – disponibile per il Tasso su Instagram al @collettivopoliticotasso.cpt - troverebbe spunti di confronto con i ragazzi.

Nessuna presa di posizione verso il nuovo governo ma piuttosto posizioni precise su questioni variegate: dalla digitalizzazione dei processi civili e penali all’opposizione alla flat tax; dalla lotta all’evasione e al riciclaggio ai controlli sulle truffe al reddito di cittadinanza; dalla richiesta di riaccentrare la sanità, ad un certo grado di sovranismo energetico e mercantilismo economico.

E poi la lotta ai cambiamenti climatici portata avanti con i Fridays for future, l’agenda dei diritti civili e tanta, tanta, scuola: con una tensione tra la denuncia della scuola di élite e basata sul merito e la richiesta di differenziare i percorsi tra licei e istituti tecnici.

C’è un solo tema che viene appena sfiorato ma che è il vero elefante nella stanza: la mancanza di voce politica di questa generazione “senza voto”.

La «radicale rivoluzione culturale» che i ragazzi rivendicano potrà avvenire non già in seguito all’occupazione di una scuola ma quando a queste generazioni verrà dato loro il diritto ad esprimere le loro posizioni politiche attraverso il voto.

Sommessamente e paternalisticamente, vorremmo quindi raccomandare loro di mettere questo punto in cima alla loro agenda, il resto verrà di conseguenza.

La proposta più radicale in questo ambito è stata avanzata recentemente da John Wall nel suo libro Give Children the Vote. On democratizing democracy (2021) e si articola come segue: 1. Ciascun cittadino sin dalla nascita ha diritto di voto. 2. Il voto, dalla nascita fino alle scuole medie, è esercitato dal genitore che attraverso il voto deve tutelare gli interessi politici del figlio. 3. Alla fine delle scuole medie, dopo una intensa attività di educazione civica, il minore può  chiedere di esercitare il suo diritto di voto direttamente. 4. Con l’età adulta tutti i genitori smettono la loro funzione vicaria di rappresentanza politica.

Il voto à la Wall avrebbe il grande pregio di abbassare radicalmente l’età dell’elettore mediano, ovvero l’elettore a cui i politici guardano quando devono formulare la loro offerta politica.

Se oggi le priorità sono le pensioni e gli incentivi per ristrutturare le villette, domani con il voto à la Wall il cambiamento climatico, la scuola e le politiche per la famiglia potrebbero avere un diverso appeal politico.

Per ottenere questo risultato non basta abbassare l’età del voto ai 16 anni come alcune forze politiche propongono: ci sono solo un milione di sedici e diciassettenni ma circa 10 milioni di minori a cui il voto à la Wall darebbe rappresentanza politica.

Il voto à la Wall restituirebbe significato pieno alla parola suffragio universale, allargando questo fondamentale diritto di cittadinanza a quel quinto di popolazione che oggi ne è escluso.

Il voto à la Wall sarebbe una palestra per la partecipazione civica e potrebbe essere articolato per gradi: magari permettendo l’esercizio del voto in contesti più controllati (elezioni locali, elezioni in organi consultivi etc) già in età precoce lasciando l’accesso al voto per le elezioni politiche come ultimo e più maturo passo.

Il voto à la Wall interromperebbe infine lo stanco rito delle occupazioni autunnali. Gli adulti sordi alle istanze dei giovani che oggi rinfacciano loro che il fine di veicolare un messaggio politico non giustifica il mezzo dell’occupazione dovrebbero fare i conti elettorali con la concreta espressione di quel messaggio.

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