Ormai da settimane, su tutti i giornali, campeggia e risuona la notizia-scandalo del momento: le strutture turistico-ricettive non trovano personale disposto a lavorare per la stagione estiva. I dibattiti in merito si sprecano e il paese si è, sostanzialmente, diviso in due.

Da un lato, la vecchia scuola di boomer che, dall’alto delle proprie carriere durante il boom economico, i condoni, i concorsoni per il posto fisso e le baby pensioni ai 45enni, si ergono a paladini del duro lavoro e rimproverano i giovani di essere dei viziati nullafacenti senza voglia di sacrificarsi.

Dall’altro effettivamente i giovani, i quali lamentano stipendi e orari al limite della schiavitù e tra il farsi sfruttare e fare la fame e il non fare niente e fare la fame, preferiscono la seconda opzione, fai sempre la fame ma almeno hai il tempo di fare una passeggiata a mare, a costo zero.

Comunisti con la kefiah

La faccenda è sicuramente complessa e prevede approfondite analisi socio-economiche che io non sono in grado di fare. È anche vero però che negli ultimi tempi le notizie in merito al trattamento che gli imprenditori riservano ai propri dipendenti, di qualunque genere, non siano esattamente il massimo quanto a rispetto (e  legalità, se proprio volessimo essere precisi).

In verità queste notizie riguardano anche e soprattutto imprenditori molto facoltosi con enormi patrimoni personali, neanche piccole aziende in difficoltà (non sarebbe giustificabile neanche in quel caso).

Tendo quindi ad avere il sospetto che il nostro modello di lavoro, basato sul modello CAPITALISTA (sì, scusatemi, ho usato questo termine che fa tanto primi del Novecento ma ancora non è stata trovata un’alternativa valida), sia principalmente basato su questo: l’arricchimento di pochissimi a discapito dello sfruttamento, dell’impoverimento e, spesso, anche del maltrattamento, di moltissimi altri.

A questa posizione, un po’ da comunista con la kefiah alle manifestazioni studentesche in piazza, viene spesso risposto che i giovani non hanno voglia di fare sacrifici nemmeno quando viene loro garantito uno stipendio che le antiche generazioni si “sognavano”.
Certo, pensare che oggi, con il costo della vita quantuplicato e gli affitti medi (a Milano) a mille euro per un monolocale, ottocento euro al mese possano essere definiti uno “stipendio”, fa un po’ ridere.

E io, che lavoro da quando ho 18 anni, e ho spesso accettato condizioni lavorative immonde pur di lavorare (una volta ho lavorato come cameriera d’estate e mi pagavano con le granite), non voglio certo incentivare il lassismo.

La lista delle cose da fare

Eppure lascio a tutti i giovani – e meno giovani – che stanno cercando lavoro e sono indecisi se accettare delle condizioni disumane o meno, per non sentirsi dare dei nullafacenti, una piccola lista di tutte le cose che sarebbe meglio fare al posto di farsi sfruttare dieci ore al giorno, sette giorni su sette, per poche centinaia di euro:

  • Guardare quelli che giocano a padel. Il Padel è uno sport che va estremamente di moda oggi. Però, come il tennis, i campi da gioco si pagano quindi è chiaro che se non lavorate non potete permetterveli. In compenso però potete assistere all’impagabile spettacolo di questo sport bislacco che sta al tennis come il porno sta al sesso.
  • Guardare Rete4 per tutto il giorno. Rete4 potrebbe sembrare un normale canale televisivo invece, a ben guardare, è chiaramente un’arma di distruzione di massa.
    Ti inebria h24 con improbabili storie assurde, processi inverosimili, siparietti politici degni di Bollywood e alla fine della giornata ti sei dimenticato di tutte le tue sofferenze. Ma anche di come ti chiami.
  •  Fare finta che sia ancora il 2020. Questa è facile, le regole le sappiamo tutti: ci si chiude in casa e si esce solo, al massimo, per fare la spesa, ma non più di una volta al giorno. D’altra parte le offerte di lavoro indecenti che si trovano post lockdown ci fanno rimpiangere i tempi dei comizi notturni di Conte quindi: perché non fingere che sia ancora così?
  • Vivere. So che sembra démodé, ma oltre al lavoro, la performatività, la prestanza, la carriera, il dovere sociale, esiste una cosa chiamata “vita”. Per vivere la vita basta, sostanzialmente, essere vivi. E questo è quasi sempre gratis. Almeno per ora.

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