È l’anno che ha cancellato in un solo colpo i trenta precedenti. Con la Sicilia che si è ribaltata, che è tornata un’altra volta a testa in giù. È l’anno di Renato Schifani che è diventato governatore, della docente palermitana di Giurisprudenza che ha definito “un obbrobrio” il maxi processo, è l’anno dell’impunità certificata nel «più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana» che è rimasto senza un solo colpevole.
Fra il 23 maggio del 2022 e oggi hanno preso anche l’ultimo dei Corleonesi. Spacciato come il super boss di una super cupola, in realtà Matteo Messina Denaro è un quasi morto di una mafia già morta.

Felicemente insieme

Dalla pomposità del trentennale in ricordo di Giovanni Falcone alle promiscuità e alle distrazioni della politica, al conformismo irritante delle associazioni antimafia, alle prudenze della magistratura, alle esitazioni del giornalismo. Un salto nel passato: la mafia è tornata semplicemente questione di ordine pubblico. Con tutti, felicemente insieme, contro gli avanzi di Cosa nostra.
I fatti, nella loro essenzialità e per certi versi nella loro brutalità, sono elencati nell’articolo qui accanto.

I corsi e i ricorsi storici, mafia e antimafia che confusamente s’inseguono, la mafia che non si fa riconoscere e l’antimafia che si limita a fare la mossa. Religiosamente s’indigna.
E intanto gli stessi commentatori che oggi inneggiano a Falcone, sempre oggi rivalutano Corrado Carnevale, l’eccellentissimo presidente della prima sezione della Cassazione che detestava Falcone e non vedeva l’ora di divorarsi il suo maxi processo. Perché, fra il maggio 2022 e il maggio 2023, c’è stata grande libertà. Di dire tutto e il contrario di tutto.

L’ha fatto Maria Falcone, un giorno contro il sindaco di Palermo Roberto Lagalla e il giorno dopo lì a congratularsi con lui. Un sindaco che mai una volta, una sola volta, ha rinnegato l’appoggio ricevuto dall’ex governatore Cuffaro e dal senatore Dell’Utri. E non si è perso una sola celebrazione in onore alle vittime di mafia, una maschera davanti alle lapidi. E Totò Cuffaro riabilitato con la sua Nuova Democrazia Cristiana, che ha mandato tre dei suoi nel consiglio comunale di Palermo. E la preside dello Zen che ha trafficato con i computer degli studenti e stoccato cibo a casa sua, sottraendolo ai disgraziati più disgraziati della Sicilia.

Giudici volubili

Le sentenze, in nome del popolo italiano, sempre di più hanno marcato distanze. Giudici volubili, verdetti stravaganti. Per esempio il processo sulla trattativa stato-mafia, un vortice. Personalmente sono sempre stato dell’avviso che quel processo andava fatto ma altrimenti, non mi aveva convinto del tutto la condanna di primo grado, non mi aveva convinto del tutto quella di assoluzione di secondo grado, la Cassazione ha messo tutti d’accordo: non è successo niente.

Come niente è successo intorno all’uccisione di Paolo Borsellino, delitto tanto imperfetto da rivelarsi alla fine perfettissimo. E’ bastato accontentare la pubblica opinione con le ovvietà: «Non è stata solo la mafia». Ma quando le hanno scritte le motivazioni di assoluzione per lo sviamento delle indagini, nell’aprile del 2023 o nel luglio del 1993?

L’anno ci ha consegnato anche un Massimo Giletti risucchiato nel gorgo del gelataio Baiardo e da chissà chi altro. Nel gran finale è stata messa in scena l’opera dei pupi, Caterina Chinnici dal Pd al partito di Berlusconi, di Dell’utri, del senatore D’Alì. Lei, figlia di Rocco Chinnici. Ma chi se lo sarebbe mai immaginato un anno così?

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