Un’Agenzia federale (Central for Disease Control and Prevention) ha pubblicato or ora le percentuali di adolescenti e Lgbt Usa presi da malinconia (60 per cento), depressione (25 per cento), tentazioni di suicidio (15 per cento), punte di una aumentata diffusione del malessere mentale rispetto a quanto rilevato nel passato.

Ce n’è quanto basta a farne una notizia, ma, per quanto ne sappiamo, se n’è accorto il 18 febbraio solo Ross Douthat, forse il meno liberal-entusiasta fra i notisti del New York Times, perché in quei dati trova la conferma di un rovello che da tempo lo tormenta: la disperazione individuale conseguente (in parole nostre) allo “spegnersi del sacro”.

Lo spegnersi del sacro

Lo spegnersi del sacro sarebbe l’esito del primo quindicennio del Duemila lungo il quale una larga maggioranza americana ha strappato rispetto ai “valori d’una volta”.

Nel 2015 l’immancabile statistica americana misurava che il 63 per cento della popolazione aveva ormai tolto lo stigma alle relazioni gay e lesbiche, non vedeva problemi nel sesso fra una nubile e uno scapolo (68 per cento), non si opponeva né al generare figli fuori matrimonio (61 per cento) né al divorzio (71 per cento), e arrivava perfino a vedere con favore l’uso di embrioni umani per la ricerca (64 per cento) e il suicidio assistito (56 per cento), con ciò sdoganando le pratiche ai due estremi della vita.

Peraltro, anche ad essersi persa la statistica del 2015, sarebbero bastati i comportamenti elettorali che hanno spalancato l’abisso fra il mondo rurale, tutto pick up, pistola chiesa, torte di mele e camice a quadrettoni, e il ceto medio “college educated”, orientato al globo e attraversato dai risvegli etnici e di genere.

Douthat vede in quel ribaltone dei valori il trionfo del “social-liberalism” (noi lo chiameremmo individualismo libertario) che a forza di accanirsi contro la normazione dei costumi ha innescato la corsa al disarmo spiritual-comunitario. Col risultato che gli “individui” usciti vincitori (e in particolare i giovani) hanno perduto, insieme con gli odiosi divieti di preti e genitori, anche la bussola comunitaria dei pro e contro cui guardare.

Il nihilismo traditore dello smartphone

Tanto vuoto comunitario discende anche, dice Douthat, dal tradimento delle promesse dello smartphone che comparendo nel 2006 garantiva la connessione costante e permanente con il mondo preso in rete e trasformava ogni individuo in emittente e ricevente, il comunitarismo totale, alternativo e di movimento, rispetto alle strettoie della comunità ristretta a casa, scuola, pub, partito e chiesa! Ed ecco i voli pindarici sulla nuova, integrale e diretta  democrazia col popolo assiso in permanenza sugli scranni del governo, secondo il fantasy di Grillo e Casaleggio che prospettava tante mirabilie e, in sostanza, offriva la spalla del computer all’insofferenza anarcoide tipica italiana.

Ma la bolla immaginifica è scoppiata e in tanti oggi convengono che smartphone e rete sono la tenaglia che, altro che comunitarismo sconfinato, intrappola chiunque, tra bolle, balle, bullismi e Mode, per la fortuna della pubblicità profilata e dei vice amici: gli influencer. Altro che libero e felice, leggiamo così sul New York Times, ognuno si ritrova con «un’altra coscienza avvinghiata, con permanente voce in capitolo, alla propria».

Un dubbio non da poco

A questo punto ci frena dal gettare il cellulare nel cestino solo il dubbio che tanta malinconia americana derivi non tanto dai vuoti spirituali e dal nihilismo della coppia smartphone-rete, quanto dalle concrete condizioni materiali degli individui.

La ricerca americana trascura questi aspetti, salvo un dato, isolato ma eloquente: il vertice di ogni forma di malessere mentale è toccato dal 3 per cento degli intervistati, neri, nativi dell’Alaska e Lgbt che più di altri praticano il randagismo del dormire perché sono soli nel mondo reale ben prima che in quello della rete.

Dovessimo scoprire che, altro che languori spirituali, la malinconia d’un intero continente deriva da quelli, magari spiritualizzati, dello stomaco?

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