Dopo quello che è successo a Roma, scontri in piazza e attacco verso la sede della Cgil, una pluralità di giornalisti, storici, politologi e politici, io tra loro, hanno cercato di analizzare quello che è accaduto. Molte di queste valutazioni hanno riguardato il concetto di fascismo, argomento allo stesso tempo appassionante e divisivo, che ha sempre molta vitalità e che mantiene una molteplicità di posizioni e punti di vista.

Ho letto veramente tante posizioni diverse sostenute da analisi storiche, politiche, antropologiche e sociali, letture di ogni tipo tutte tese a capire e valutare se i fatti di Roma fossero o meno fascismo e come eventualmente approcciarsi a questo fenomeno. Quello che forse è mancato è una interpretazione dei fatti che tenesse in fila non tanto il raffronto storico, ma il nostro rapporto con il fascismo e di come quello che è avvenuto cento anni fa riesca ad influenzare l’oggi.

Insegnamenti

Prima di ragionare sopra a questo discorso principale, vorrei porre un problema a monte, decisivo per il proseguo del discorso: è possibile imparare dalla storia? Molti grandi intellettuali, da Hegel a George Bernard Shaw, erano convinti del contrario; l’intellettuale francese Paul Valéry considerava la storia addirittura pericolosa: «La storia giustifica qualsiasi cosa. Non insegna assolutamente nulla, perché contiene tutto, e di tutto fornisce esempi». Il nazismo è un ottimo esempio di questa pericolosità e anche l’attuale momento pandemico sembrerebbe dare ragione allo scrittore francese.

Dalla medesima situazione odierna, emergono letture diametralmente opposte che rivendicano la loro ragione d’essere nel fatto di rivedere oggi situazioni simili a quelle di quasi 100 anni fa e che hanno prodotto immensi sfaceli. È stato l’Illuminismo a mettere da parte l’assunto “Historia magistra vitae”, per sostituirlo con un mutamento continuo dovuto all’innovazione e alla modernizzazione. Questo però non ci deve far perdere fiducia nella storia, io credo che questa materia possa ancora insegnare all’uomo.

Nostalgici

Il grande filosofo tedesco Karl Jaspers si è espresso così in merito al valore magistrale della storia: «Noi, invece, siamo esseri umani e non giungeremo mai alla verità se non abbiamo davanti agli occhi ciò che è stato commesso»; ed è proprio dalla storia del Novecento, così carica di violenze, di traumi e fratture causate da una pluralità di regimi criminali che dobbiamo porre la nostra volontà d’analisi retrospettiva.

Partendo da questa premessa, ovvero che la storia può insegnarci e che anzi con essa dobbiamo farci i conti soprattutto se parliamo dei grandi totalitarismi, a mio avviso la domanda principale che dobbiamo porci non è se quello che è accaduto a Roma sia fascismo o meno, ma invece porsi il problema di quanto il fenomeno fascismo in generale pesi sull’oggi. La risposta, visto i fatti accaduti e la situazione politica complessiva dal dopoguerra ad oggi, non può essere che molto, probabilmente troppo.

Il filo nero del fascismo non si è mai interrotto, quanti protagonisti del ventennio fascista, Giorgio Almirante in primis, hanno fatto politica e influenzato le sorti della Repubblica, anche in maniere al limite della legalità. Se tanti esponenti del ventennio e della repubblica sociale sono poi stati integrati nel movimento sociale, come stupirci di quest’osmosi che è avvenuta tra il fascismo storico e i partiti di destra dal dopoguerra ad oggi.

Quanti consigli comunali si rifiutano di togliere la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini, quante cene politiche vengono fatte per il 28 ottobre per l’anniversario della marcia su Roma, quanti esponenti di destra istituzionale hanno militato in quella impresentabile, quante vestigia del fascismo vengono difese dagli esponenti dei partiti eredi del movimento sociale e quanti politici vengono beccati con commenti nostalgici sui social.

Il tutto non può essere ridotto ai soli partiti più estremi della destra italiana, io non lo credo, il problema è molto più ampio e diffuso di quello che ha scoperto Fanpage con la sua inchiesta sui rapporti tra Lega – Fratelli d’Italia e estrema destra. 

Colpe dimenticate

Una storia criminale irrisolta, come quella del fascismo, inibisce la piena transizione democratica. L’Italia non ha mai affrontato la cesura del dascismo, non abbiamo mai risolto la questione posta da Piero Gobetti se il fascismo fosse l’autobiografia della nostra nazione. Quando parliamo di crimini così violenti, l’oblìo non è una soluzione, è necessario trasformare quel “passato che non passa” rileggendolo in maniera attiva. Questa amnesia è una forma ostinata di restaurazione.

La nascente repubblica invece che affrontare il fascismo e comprendere perché abbia attecchito in maniera così diffusa, ha preferito dimenticarlo, tirarci una riga sopra per andare avanti, sperando che si esaurisse autonomamente attraverso il logorìo del tempo e con l’azione democratica della repubblica. Genocidio, stragi di civili, campi di concentramento e persecuzioni di minoranze non sono crimini su cui è possibile mantenere una continuità storica senza avere problemi.

Ancora oggi lo stato italiano non ha chiesto scusa agli ebrei per le sue colpe, non ha chiesto perdono per il cosiddetto scandalo dell’«armadio della vergogna» che di fatto ha occultato i crimini dei fascisti italiani nei confronti dei connazionali. Gli stessi criminali fascisti sono stati amnistiati in nome della riconciliazione nazionale. Lo stesso fascismo è stato visto come un fenomeno “transitorio” dai padri costituenti: il divieto di ricostituzione del partito fascista è nelle norme transitorie, quelle per l’appunto di carattere eccezionale e di passaggio tra quel passato e la Repubblica, solo successivamente la Corte Costituzionale ha invece reso permanente questo principio pur mantenendolo per opportunità tra quelle provvisorie.

Rivoluzione giovanile

Comportandoci in questo modo a mio modo di vedere non abbiamo risolto molto, a vari livelli, sia tra i ceti intellettuali sia tra  le persone comuni, regna un altro grado di relativizzazione dovuto ad una pluralità di fattori.

Il fascismo va reso argomento di discussione attiva e di confronto serrato, questo deve essere il motore di un nuovo modo di ricordare quello che è stato permettendoci di mettere la giusta distanza tra quel movimento e noi. 

Abbiamo bisogno di uno stato che dia direttive univoche, che sostenga il lavoro degli storici, dei musei e degli istituti di ricerca specializzati, che mantenendo la loro indipendenza garantiscano una serie di condizioni come fornire una pluralità di approcci all’argomento, promuovendo l’attivazione di una discussione ad alto livello soprattutto mediaticamente. Oltre all’azione dello stato e delle istituzioni atte alla creazione della conoscenza civica, abbiamo bisogno di movimento popolare, soprattutto giovanile, come è accaduto in Germania nel 1968, un ventennio dopo la fine della guerra. I giovani tedeschi, nati dopo la guerra e soprattutto dopo il nazismo, sono stati decisivi per fare chiarezza sul passato della Germania. I giovani del movimento rivoluzionario del 1968 hanno guardato in faccia i propri genitori e li hanno accusati di quello che la Germania aveva prodotto negli anni del nazismo e della guerra.

Condanna

Quel passato non è stato sepolto, è stato stigmatizzato e reso pubblico, diventato politica di Stato con Willy Brandt e la sua Ostpolitik tesa a normalizzazione i rapporti tra la Germania Ovest e i paesi dell’est Europa, iniziata con il gesto iconico del suo inginocchimento davanti al monumento ai Caduti del Ghetto di Varsavia. Quella via intrapresa dal cancelliere tedesco è diventata una parte essenziale della coscienza della Germania unita post 1989, una grande prova di maturità di fronte all’Europa e al mondo.

Gli italiani dovrebbero seguire questo felice esempio, trasformare la condanna al fascismo e dei suoi crimini come una parte sostanziale della propria coscienza nazionale. Queste sono pratiche che a mio avviso possono interrompere la continua intrusione del fascismo e dei fascisti nella vita democratica italiana, per arrivare ad un storicizzazione attiva, sociale, culturale e politica.

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