Vari segnali indicano che l’armonia temporanea tra partiti che ha caratterizzato il governo Draghi si sta incrinando. Prima le tensioni intorno alle nomine per i tg della Rai, vicenda tutta politica che non ha nulla di editoriale, poi il voto di due emendamenti a un provvedimento minore, il decreto sulla capienza dei bus turistici, che passano nonostante il parere contrario del governo.

Forse il tappo messo da Sergio Mattarella e Mario Draghi alla competizione tra partiti sta saltando, o forse Draghi è un così raffinato gestore delle increspature politiche che sta guidando il sistema verso l’approdo naturale: la conclusione di una fase eccezionale con il suo passaggio da palazzo Chigi al Quirinale.

La vicenda Rai offre qualche indizio: mentre è impegnata in una complessa riforma delle rete e dei contenuti, senza ragione la tv pubblica cambia i direttori dei tg, con una trattativa tra partiti e palazzo Chigi. Giuseppe Conte, leader dei Cinque stelle, si sente sconfitto: salta il direttore del Tg1, Giuseppe Carboni, un outsider che a suo tempo era stato propiziato dal Movimento, mentre guadagna un direttore Giorgia Meloni, per Rainews24.

Senza entrare nel merito delle singole nomine, le reazioni dei protagonisti indicano che Conte è scontento, mentre il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha partecipato alla trattativa e non pare dispiaciuto dell’esito. Un altro segnale del fatto che è iniziata la campagna di Di Maio per riprendersi il Movimento (il suo libro è uscito subito dopo amministrative che hanno segnato la perdita di Roma e Torino per i Cinque stelle guidati da Conte).

Tutte queste fibrillazioni indicano che la scelta del capo dello stato è l’occasione per i leader oggi ai margini di tornare al centro della scena. Da Di Maio a Matteo Renzi, con più indagini a carico che voti ma ancora dotato di truppe parlamentari.

Se usiamo la Rai per leggere la partita per il Colle, palazzo Chigi ha accontentato il centrodestra inclusa l’opposizione di Giorgia Meloni, ha messo in difficoltà i Cinque stelle di Conte, mentre il Pd è come sempre condannato al ruolo di partito istituzionale, impossibilitato ad avanzare troppe richieste perché non credibile nelle minacce di ribellione.

Lo schema Rai applicato al Quirinale indica due scenari possibili: Draghi sostenuto da un centrodestra che fa solo finta di indicare Silvio Berlusconi nei primi scrutini, con il Pd costretto ad accodarsi e un Movimento Cinque stelle incerto, ostile se guidato da Conte, magari a sorpresa “draghiano” se indirizzato da Di Maio, che di Draghi è pur sempre uno dei ministri cruciali.

Scenario alternativo: i leader marginali Renzi e Di Maio costruiscono una candidatura alternativa a quella di Draghi che spacchi la maggioranza attuale attirando il Pd. Il nome giusto sarebbe quello di Paolo Gentiloni, al quale Letta non potrebbe dire di no, perché è l’unica possibilità di avere ancora un capo dello stato di area invece che uno sostenuto dal centrodestra in vista di elezioni dove le sinistre hanno poche prospettive di vincere. In tutti questi casi, la stagione di relativa concordia che si è aperta a febbraio sta ormai finendo.

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