Troppe ambiguità ed altrettante incertezze segnano anche l’ultima risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu approvata il 31 ottobre scorso.

Con la risoluzione 2795 infatti l’Onu rinnova il mandato della missione di pace (Minurso, quella delle Nazioni Unite nel Sahara Occidentale) per un anno, fino al 31 ottobre 2026, sottolineando la necessità di «una soluzione politica giusta, duratura e reciprocamente accettabile». Ma introduce elementi pericolosi e senza precedenti che minano la natura stessa del processo di decolonizzazione del Sahara Occidentale e rischiano di legittimare l’occupazione marocchina e la violazione dei diritti umani.

Il compromesso

In sostanza l’Onu parla di una soluzione «che preveda l’autodeterminazione del popolo del Sahara Occidentale», ma include anche riferimenti positivi alle «proposte realistiche e di compromesso», un linguaggio che apre spazio all’iniziativa marocchina sull’autonomia.

Mettere sullo stesso piano autonomia e autodeterminazione, spostando il baricentro giuridico dalla risoluzione 1514 — che riconosce il diritto all’indipendenza — verso una formula politica ambigua diventa un punto politico dirimente, che nega il diritto internazionale già sancito da diverse risoluzioni.

Il percorso che dovrebbe consentire al popolo Saharawi di riconquistare i diritti negati dopo che il regime marocchino ne ha imposto dal 1975 l’esilio, con la forza, dai propri territori, dopo 50 anni è ancora pieno di ostacoli. Nel frattempo quel popolo è costretto a vivere nei campi profughi nel deserto algerino, con gravi problemi di ordine nutrizionale registrati dall’Unhcr, e al contempo deve sottostare alla repressione e alle angherie nei territori occupati militarmente dal 1976.

Non sono bastate le gravi evidenze decennali denunciate da Amnesty né tantomeno le sentenze della Corte di Giustizia europea sulla giurisdizione dei Saharawi sui territori del Sahara Occidentale, a favorire, dopo anni di soprusi e con una violazione del cessate il fuoco del 1991, quel processo di pace che avrebbe dovuto partire dall’inequivocabile assunto dell’autodeterminazione del popolo Saharawi. La comunità internazionale non è riuscita ad intervenire concretamente, anche per i troppi silenzi e gli altrettanti “cambi di casacca” soprattutto di alcuni Paesi europei come la Spagna, che hanno segnato i comportamenti del mondo occidentale.

Modello Gaza

Solo l’Onu ha sempre tentato di favorire il processi di pace con il rinnovo ogni anno della missione di pace, l’individuazione di sempre diversi incaricati dal segretario generale di turno a provare a mettere d’accordo le parti. Ma ora anche dalle Nazioni Unite arrivano novità non esaltanti e condizionate da un nuovo quadro internazionale che vede gli Usa di Trump imporre scelte sul modello della presunta pace a Gaza. Imporre scelte e decisioni a prescindere da tutto e tutti, depotenziando progressivamente tutte le agenzie umanitarie internazionali, demolendo la credibilità dell’Onu stessa, dell’Oms, della Corte internazionale.

E allora nella Risoluzione si invitano le parti a negoziare «senza precondizioni» e a «considerare tutte le proposte costruttive» perché quello che conta non è la base giuridica su cui questi colloqui si fondano ma solo la ripresa dei colloqui.

Quindi non menzionare esplicitamente la natura di «territorio non autonomo sotto occupazione» come è stato fatto in altre Risoluzioni precedenti, significa un indebolimento del mandato originario dell’Onu e un passo verso la “politicizzazione” della questione, influenzata da un numero sempre crescente spesso “spintaneamente“ di Paesi più favorevoli alla posizione marocchina.

Un segnale chiaro di cedimento politico del Consiglio di Sicurezza sotto pressioni bilaterali dentro al nuovo contesto trumpiano.

La sicurezza nella regione

Vero è che non viene modificato formalmente il quadro del cessate il fuoco o del referendum. Ma è evidente che se nel confronto si parte da proposte che nei fatti legittimano l’occupazione marocchina o eludono l’opzione indipendentista, è chiaro dove si vuole andare a parare.

Del resto nella mia recente partecipazione alle audizioni davanti alla quarta Commissione per la decolonizzazione dell’Onu e dai colloqui avuti con diversi paesi è apparso chiaro che il sostegno americano alla proposta di autonomia marocchina fosse sotto traccia già da diverse settimane e avrebbe condizionato le scelte del Consiglio di Sicurezza.

La crisi di fiducia verso l’Onu, accumulata nel tempo e accelerata da Trump, rischia oggi di paralizzare il processo politico in piedi dal 1991 e di spingere il Fronte Polisario verso una strategia di pressione diplomatica e mobilitazione popolare, come già si è visto nei campi profughi in questi giorni. La preoccupazione per la stabilità del Maghreb e per la necessità di cooperazione regionale è sicuramente l’altra gamba che ha fatto muovere l’Onu verso una soluzione diplomatica nei fatti unilaterale e opportunistica che rischia, quella s, di mettere a rischio la pace e la sicurezza dell’intera regione.

Il rischio escalation

Il rischio di escalation per l’Onu è causato dalla mancanza di dialogo, per il Polisario è l’abbandono del diritto internazionale già sancito più volte in questi cinquant’anni.

Ecco perché serve una reazione politica e giuridica dopo la Risoluzione 2795. Una reazione per denunciare una deriva interpretativa del Consiglio di Sicurezza, che abbandona nei fatti la logica della decolonizzazione, per abbracciare quella del compromesso politico centrato sull’autonomia marocchina, dietro la spinta del presidente americano.

Quello che si vuole far accettare è la normalizzazione dell’occupazione del Sahara Occidentale sotto l’etichetta di “soluzione realistica”, con gravi conseguenze per la credibilità del sistema Onu e la stabilità del Nord Africa. La stessa scelta dell’Unione europea di rinnovare velocemente gli accordi commerciali con il Marocco per lo sfruttamento delle risorse naturali del Sahara Occidentale nonostante una sentenza della Corte di Giustizia Europea che ne demolisce i presupposti stessi, va ovviamente nella stessa direzione. Ed è quella sbagliata che non porterà niente di buono né per il popolo Saharawi né  per il Magreb né per l’Onu.

*Coordinatore Intergruppo Parlamentare di amicizia con il popolo Saharawi, segretario di Presidenza della Camera

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