La guerra imperversa in Ucraina, e con oltre 2 milioni di rifugiati in due settimane, ci si potrebbe aspettare che la priorità assoluta sia prestare soccorso alla popolazione ucraina, lavorare in ogni modo per interrompere questa guerra e ridurre nel frattempo il potere che la Russia ha su di noi.
Ma non è così per tutti. Gli intrepidi nemici della transizione ecologica, un po’ in difficoltà da quando il negazionismo climatico non funziona più, non hanno perso questa occasione per trasformare una tragedia in un’opportunità di guadagno personale.

A detta del presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, il balzo dei prezzi dell’energia dovuto alla situazione in Ucraina impone di «riscrivere il Pnrr e allungarlo temporalmente» oltre che «spostare gli obiettivi della transizione ecologica».
Un giro di parole per dire che tutto sommato, data la situazione, possiamo permetterci che le emissioni salgano per un altro anno.

In primo luogo, ritardare la transizione ecologica vuol dire dipendere più a lungo e più intensamente dai combustibili fossili, tra cui anche il gas, che noi importiamo in gran parte dalla Russia. Significa, quindi, fare esattamente il contrario di quanto chiunque sembra augurarsi negli ultimi giorni: sottrarsi al ricatto dell’energia da parte dei paesi autoritari.

La discrepanza tra le parole di Bonomi - in questo caso - e azioni realmente necessarie rendono evidente il doppio gioco di chi lavora senza sosta per ritardare la lotta alla crisi climatica: l’unico obiettivo è spremere più a lungo il pianeta e che lo abita, per trarne profitto personale ancora per un po’. Anche se questo sistema è alla base della sofferenza di milioni di persone.

Un quadro drammatico

In secondo luogo, in ogni caso non possiamo permetterci che le emissioni salgano ancora, guerra o no. L’ultimo, recente rapporto Ipcc (Intergovernmental panel for Climate Change) dipinge un quadro drammatico: metà dell'intera umanità è già vulnerabile a mancanza d’acqua, siccità, ondate di calore estremo, malattie trasportate dai paesi più caldi, disastri naturali legati al riscaldamento globale.

Questa è la realtà, peraltro, in cui vivono già da anni le persone e le aree della Terra più vulnerabili. I nostri amici attivisti da queste zone del mondo continuano a vedere le loro voci silenziate ed ignorate, mentre le loro case bruciano, i loro paesi vengono sommersi e i terreni si seccano.
La finestra per mantenere, citando il rapporto dell’Ipcc, «un pianeta vivibile» si sta chiudendo molto rapidamente, e se non riusciremo ad invertire immediatamente e bruscamente l’aumento delle emissioni, superare i punti di non ritorno sarà inevitabile.

Non è bastato questo aumento dei disastri climatici ad evitare il picco di emissioni di CO2 dovute alla produzione energetica dell’anno scorso, il più alto di sempre.
Il nostro futuro è avvolto nell’incertezza, ma coloro che dovrebbero proteggerlo - e sostengono di farlo - in questi tre anni dall’inizio delle nostre mobilitazioni non hanno mai smesso di alimentare le fiamme.
scegliendo di aspettare ancora ad affrontare questa crisi, scegliendo i combustibili fossili come un’opzione, stanno scegliendo consapevolmente la parte della guerra.

Forse, a ripensarci, in un certo senso concordiamo con Bonomi: gli obiettivi attuali vanno rivisti. Ma al rialzo. Gli obiettivi che il nostro paese adotta attualmente, quelli del Green Deal Europeo, sono pieni di scappatoie e sono incompatibili con l’accordo di Parigi, in un’ottica di giustizia climatica. Se vogliamo evitare lo scenario catastrofico descritto dagli scienziati, abbiamo bisogno di spostare il nostro orizzonte, dal 2050 al 2030, adottando obiettivi con riduzioni delle emissioni annuali vincolanti, basati sulla scienza e sull'equità, non sugli interessi di pochi.

Solo in questo modo potremmo realmente eliminare la nostra dipendenza tossica dai combustibili fossili che in questo momento ci tengono legati alla Russia di Putin e ad altri paesi autoritari. Ed è questo il cuore della manifestazione del 25 Marzo in oltre 70 piazze in tutta Italia: una giusta transizione ecologica, che metta al centro il benessere del 99 per cento della popolazione, non i profitti dell’1 per cento. 

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