A un mese e un giorno dall’invasione russa in Ucraina scendono di nuovo in piazza i movimenti per il clima. «È uno sciopero globale programmato molto prima della guerra», spiega Luca Sardo, uno dei portavoce nazionali di Fridays for future, «ma siamo contenti che le manifestazioni cadano proprio in questo momento, perché questa guerra non nasce nel vuoto, le risorse economiche usate per l’invasione sono le stesse che derivano dai problemi di cui abbiamo sempre parlato negli ultimi anni. È solo un’altra prova dei danni causati dalla dipendenza da combustibili fossili».

A Torino la conferenza di presentazione si è simbolicamente tenuta dentro il letto del Po, che è asciutto e in alcuni punti attraversabile a piedi, mentre nel nord-ovest sono stati sfondati i cento giorni di crisi idrica.

Uno dei ruoli politici di questi movimenti è sempre stato offrire il senso di realtà, farsi carico della prospettiva scientifica, ricordare il contesto più ampio: oggi portano in piazza anche la più importante notizia ignorata di questo inizio d’anno, il rapporto Ipcc sulla vulnerabilità climatica. «Atlante della sofferenza umana», secondo il segretario generale delle Nazioni unite António Guterres, tremila pagine di allarme che hanno trovato nella siccità e nel crollo delle portate di fiumi e laghi del nord la declinazione concreta.

Una battaglia culturale

«Questo è un momento in cui è cruciale riuscire a dare una lettura giusta di tutto quello che sta succedendo. Noi torniamo a manifestare anche per ricordare alle persone il contesto in cui sono arrivate prima la pandemia e poi questa guerra», aggiunge Michela Spina, anche lei portavoce di Fridays for future Italia.

Prima ancora della politica, questa è tornata a essere una battaglia culturale, come tra il 2018 e il 2019, quando le prime ondate di scioperi erano riuscite in quello in cui cinquant’anni di ambientalismo avevano fallito: mettere le ragioni della sostenibilità della vita umana sulla Terra in cima all’agenda.

«Dobbiamo spezzare la retorica che vuole la sicurezza energetica opposta alla transizione ecologica. Abbiamo bisogno che il messaggio passi, nelle scuole, nei media, contro la paura creata ad arte che la direzione verso cui andiamo sia spegnere la luce e lasciare la gente al freddo».

Delusione Draghi

Poi, sì, c’è anche la politica: nelle piazze di oggi c’è tutta la delusione per un governo che poco più di un anno fa si era presentato con un piglio ambientalista inedito per l’Italia.

«Draghi per noi era partito bene, con le parole corrette e le scelte giuste, la creazione di un ministero per la Transizione ecologica ci aveva dato grandi speranze. Per noi il ministro Roberto Cingolani è l’emblema di questo tradimento, di un governo che si è rivelato sordo e lento», dice Sardo, che ricostruisce un anno di avvicinamenti e allontanamenti da un ministro che ha scelto di fare da parafulmine e argine alla transizione.

«Cingolani è arrivato con modi da tecnico, uomo dei numeri e dell’azione. Ci ha dato per un anno degli ambientalisti radical chic. Oggi ci ritroviamo con le rinnovabili ancora ferme, quando abbiamo sentito della ripartenza a carbone come risposta alla guerra ci si è gelato il sangue. Se neanche in un momento come questo si decide di ripensare il sistema energetico vuol dire che non c'è la volontà di farlo».

Alla ricerca di alleanze

Per i Fridays for Future è anche il momento delle alleanze, della ricerca di un campo largo per la lotta climatica. «La parola chiave di questa giornata è intersezionalità delle lotte», dice Spina.

Per questo motivo una delle piazze più importanti è a Firenze, dove Fridays for future sfila sia oggi sia domani insieme ai lavoratori di Gkn, due manifestazioni in una, per imparare a navigare il complesso mare delle vertenze sindacali (in piazza anche rappresentanti dei casi Tim, Alitalia, Caterpillar).

«Questo deve smettere di essere un movimento di ragazzini, la nostra non è una rivendicazione studentesca, deve coinvolgere tutte le generazioni e legarsi con la realtà sindacali. La collaborazione con Gkn non nasce artificialmente, la transizione ecologica è stato uno dei motivi per cui hanno perso il lavoro, ma può essere uno dei motivi per cui lo ritrovano».

A Torino ci saranno gli ex operai di Whirlpool, ai movimenti si affianca anche il comparto scuola della Cgil con gli insegnanti in piazza insieme agli studenti. È un modo per spezzare l’antico conflitto tra ambiente e lavoro e anche per uscire da una delle secche strategiche del movimento, percepito come innocuo, elitario, non conflittuale, isolato dal contesto italiano.

Le elezioni del 2023

Per ora i movimenti devono valutare le decisioni dei tecnici, ma a un certo punto torneranno i partiti, dopo il commissariamento Draghi, e nel 2023 ci sono le elezioni. Da quando c’è la crisi energetica, anche quelli progressisti (Pd, M5s) hanno smesso di blandire i Fridays for future, negli ultimi mesi la distanza di Enrico Letta o Giuseppe Conte rispetto a questa parte della società è stata vistosa, dopo una stagione di corteggiamento e di dialogo.

«Stiamo sperimentando una grande differenza tra il livello locale, dove riusciamo a lavorare e incidere, e quello nazionale», commenta Luca Sardo. «Sappiamo che sulla soglia delle elezioni torneranno a bussare, a chiamarci, noi cercheremo sempre le sponde migliori per i nostri temi, ma in Italia manca del tutto una realtà politica che abbia davvero il clima nell’agenda».

Quattro mesi fa si chiudeva Cop26 a Glasgow, con un patto per il clima fragile e smantellato dai successivi eventi globali. «In questi mesi abbiamo preso solo schiaffi, dal governo e a livello internazionale», conclude. Il senso di questo sciopero sta anche qui: riprendere il senso della narrazione, riportare il clima dov’era prima che il panico energetico mangiasse tutto.  

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