Come ha sostenuto il direttore di questo giornale, gli attivisti che hanno imbrattato la facciata del Senato hanno ragione, al contrario dei politici che li stigmatizzano.

Come ha mostrato un lungo articolo di Ferdinando Cotugno pubblicato il giorno prima, forse però l’attivismo ecologista deve compiere un passo necessario ed entrare in qualche modo nelle strutture della politica democratica, cioè farsi partito, o comunque innervare i partiti esistenti.

Fra le due cose ci può essere una contraddizione, però, e una scelta potrebbe essere obbligata.

La logica della disobbedienza civile 

Le azioni di disobbedienza civile obbediscono a una logica di testimonianza e servono ad aprire una discussione che porti a rivedere leggi esistenti o a promulgarne di nuove.

Quando Marco Cappato e altri attivisti aiutano le persone a compiere eutanasia attiva e affrontano i processi, tentano di convincere l’opinione pubblica a premere sui politici per cambiare le norme vigenti in materia.

Nel caso del clima, ci sono analogie evidenti: gli attivisti che hanno agito al Senato protestano contro una decisione del governo (la riapertura delle centrali a carbone dismesse e le trivellazioni) e chiedono decisioni diverse (maggiore impegno sulle rinnovabili).

Ma ci sono anche disanalogie: nel caso del clima, come spesso gli attivisti affermano, abbiamo molta fretta e dobbiamo agire tutti.

Per le politiche climatiche, l’azione del governo è essenziale perché le disposizioni dei governi possono costringere masse enormi di cittadini a cambiare radicalmente i propri stili di vita.

Ma proprio questo, specialmente nei regimi democratici, mostra che la disobbedienza civile e l’attivismo sono alla lunga insufficienti e forse controproducenti.

Sono insufficienti perché cambiamenti così radicali degli stili di vita, almeno in democrazia, non possono che venire dal basso: sono proprio le reazioni unanimi di condanna o indifferenza che dovrebbero farci riflettere.

E non tanto le reazioni dei politici all’imbrattamento del Senato, o degli storici dell’arte alla vernice su quadri famosi.

Ma quelle degli automobilisti sul raccordo anulare di Roma, che tradiscono l’indifferenza e anche il dispregio dei cittadini comuni.

Si può dire: ma la disobbedienza civile e l’attivismo ambientalista vogliono proprio scuotere le coscienze e la mente di questi cittadini indifferenti.

L’obiettivo è giusto, ovviamente: solo così si possono produrre i cambiamenti degli stili di vita che potrebbero portare a una vera decarbonizzazione.

Ma non è detto che azioni del genere producano questo risultato, proprio alla luce dei fiaschi elettorali dei partiti più impegnati sul fronte della lotta ai cambiamenti climatici e di queste reazioni diffuse.

Né è detto che questi gesti inducano i politici a farsi avanguardia, cioè a imporre dall’alto tramite leggi nuovi stili di vita, se non altro perché in democrazia i politici sono perversamente sensibili all’opinione dei loro votanti.

Maggioranze democratiche e avanguardie

Insomma, la dinamica del cambiamento climatico è intrinsecamente globale e democratica.

Servono azioni collettive diverse dalle condotte che hanno portato al surplus di emissioni che muta il clima.

Tutte le osservazioni delle scienze sociali, e molto buon senso, mostrano però che azioni del genere, enormi cambiamenti di stile di vita, provengono dal basso, derivano dalla coscienza spontanea. Nessun governo può imporli.

I governi recepiscono e formalizzano nella legislazione le opinioni morali delle maggioranze. E il senso morale non cambia perché avanguardie illuminate impongono, in maniera ortopedica, nuove idee.

Semmai il contrario: quando i tempi sono maturi per nuove idee, le avanguardie aiutano la maturazione delle maggioranze e il progresso morale.

Così sarà anche in questo caso, con la differenza che adesso potremmo dovere fare molto in fretta. Ma la via della partecipazione democratica e della discussione razionale non si può evitare.

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