Relazione di fiducia, autodeterminazione, ascolto, creazione di spazi, formazione e prevenzione. Sono solo alcune delle parole chiave delle linee guida “Che fare? Tutto quello che avreste voluto sapere per contrastare le violenze di/del genere a scuola”.

Questo lavoro nasce dall’impegno della rete Educare alle differenze e dalla consapevolezza del ruolo cruciale che la scuola può giocare sia nella prevenzione che nel contrasto di queste forme di violenza.

Questo documento è frutto di due anni di discussioni e confronti tra tredici associazioni che - da Bergamo a Siracusa - aderiscono alla rete e del coinvolgimento di movimenti studenteschi e insegnanti.

«Le linee guida hanno preso forma in tre capitoli: violenza maschile contro le donne, l'omolesfobitransfobia e poi violenza di/del genere. La cultura ciseteropatriarcale è una e dà origine a tutte e tre, però ognuna va trattata con strumenti diversi», spiega Monica Pasquino, presidente della rete Educare alle differenze.

Ma quali competenze relazionali bisogna attuare per praticare ascolto, consenso e accoglienza? Vengono forniti dei consigli su come affrontare tali situazioni in modo efficace, ma anche su cosa è importante non fare perché potrebbe peggiorare la situazione o far sentire a disagio le persone coinvolte. Ad accompagnare le tre sezioni ci sono approfondimenti tematici, un glossario per acquisire consapevolezza sul lessico in continua evoluzione che riguarda i generi e la sessualità.

Le linee guida di Educare alle differenze vogliono fornire delle situazioni paradigmatiche che chi lavora nella scuola potrebbe incontrare. Pasquino racconta dell’approccio laboratoriale adottato dalla rete quando si fa formazione con gli insegnanti: «Cerchiamo di lavorare sui vissuti per far emergere la riflessività rispetto agli stereotipi inconsci che hai e che metti in atto, ma che attui senza rendertene conto; per esempio quando entri in classe e dici: "Buongiorno ragazzi"».

Secondo i dati raccolti da Educare alle differenze, sono stati soprattutto i docenti a richiedere l’accesso al vademecum: «Questo testimonia il bisogno di uno strumento operativo che parta dalla prevenzione primaria», dice Pasquino.

La comunità educante

Il 23 e il 24 settembre si è tenuto a Bari il nono meeting nazionale di Educare alle differenze: due giorni di autoformazione gratuita strutturata in sessioni laboratoriali parallele e aperte a tutti. Hanno partecipato insegnanti, educatori, associazioni, operatrici di centri antiviolenza e famiglie che interpretano le differenze come valore e non come minaccia.

«La prospettiva educativa in questo momento è desolante: sono pochi i canali in cui hai la possibilità di immaginare un altro tipo di scuola», racconta Margherita Talìa, aspirante insegnante. «Sto cercando di formarmi su questioni sociali e di genere, per questo ho deciso di partecipare al meeting di Educare alle differenze».

“Fare scuola fuori dai bordi”, titolo di questa edizione, rispecchia i valori della rete: rendere la scuola un luogo dove tutti si possono sentire riconosciuti e dove una pluralità di storie si incontrano. I due giorni di formazione hanno avuto il via con la lettura della Convenzione di Istanbul. A questo momento sono seguiti laboratori divisi per fasce d’età da 0 a 18 anni. Nozioni teoriche si sono alternate a momenti pratici; diversi i temi trattati: consenso, stereotipi, come contrastare l'omolesbobitransfobia a scuola, come parlare con le persone adulte per spiegare questi temi e laboratori su favole e narrazioni.

«Sono tornata a casa con pratiche, modalità, posture sapendo che le possibilità di azione all'interno della scuola ci sono e che dobbiamo soltanto capire come farlo, anche magari insinuandoci nelle crepe del sistema, hackerandolo dall’interno», dice Talìa ripercorrendo i due giorni di formazione. «L’educazione è permanente: non è soltanto nell'aula, è dappertutto. Queste pratiche si possono applicare in tanti contesti, non soltanto in quello scolastico stretto».

Linee guida a confronto

Le linee guida non sono prodotto di fantasia, ma mettono insieme una pluralità di soggetti impegnati contro la violenza. Su tutt’altra strada sembra andare il progetto “Educare alle relazioni” pensato per le scuole italiane da Giuseppe Valditara, ministro dell'Istruzione e del Merito.

«Promuovere relazioni sane è sicuramente un compito della scuola. Come lo facciamo, però? I docenti, le figure moderatrici e quelle professionali sono pronte a questo compito e sono formate sull’argomento?», si chiede Alessia Dulbecco, pedagogista, counsellor e formatrice esperta in DE&I (Diversity, Equality & Inclusion).

Secondo Alessia Dulbecco: «Il protocollo avrebbe dovuto coinvolgere le professioniste dei centri antiviolenza (Cav) e dei centri per autori di maltrattamento». La pedagogista fa notare anche come sia fondamentale «promuovere la conoscenza di come chiedere aiuto, ad esempio chiamando il 1522» e qui torna centrale il ruolo e il coinvolgimento dei Cav, purtroppo mancato. Si punta invece a un approccio punitivo mirato a ricordare cosa si rischia se si commettono determinate violenze. «È importante saperlo, tuttavia la vera prevenzione non si esaurisce nel sanzionamento o nella paura della sanzione», afferma Alessia Dulbecco. «Quello che professioniste che fanno il mio lavoro, Cav e centri per autori di violenza chiedono è soprattutto un cambiamento culturale che non può passare solo dalla paura, né da quel sessismo benevolo».
 

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