Tra le questioni che hanno suscitato più polemiche nelle settimane scorse c’è stata l’istituzione di alcune commissioni parlamentari di inchiesta. In particolare, quella sulla gestione della pandemia da Covid-19, la cui legge istitutiva è stata approvata alla Camera nel luglio scorso e ora è al Senato; nonché quella sulle responsabilità di Pasquale Tridico, ex presidente dell'Inps, circa i mancati controlli sull’erogazione del reddito di cittadinanza, proposta dal capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia, Tommaso Foti. Alla ripresa di settembre, sul tema delle commissioni peseranno alcune considerazioni svolte dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della tradizionale cerimonia del ventaglio, il 27 luglio scorso. Al riguardo, possono essere utili alcuni chiarimenti.

Cos’è il potere di inchiesta

Le commissioni parlamentari di inchiesta sono previste dall’art. 82 della Costituzione. Il potere d’inchiesta è “strumentale” all’esercizio di altre funzioni del Parlamento: quella legislativa e quella di indirizzo del governo. Perciò le citate inchieste sono definite “legislative”, se create per approfondire certi fenomeni e disciplinarli o riformare norme vigenti; “politiche”, se mirano a indagare l’operato del governo o della pubblica amministrazione, per poi valutare – tra le altre cose - l’opportunità di un atto d’indirizzo verso l’esecutivo. Tuttavia, la predisposizione di una legge o un’azione d’indirizzo è solo eventuale, poiché non c’è alcun obbligo giuridico per le Camere di dare un seguito all’inchiesta.

Le commissioni sono istituite con legge (commissioni bicamerali) o con delibera di una sola Camera (commissioni monocamerali). I presidenti delle Camere nominano i parlamentari commissari, su indicazione dei gruppi e in modo che sia rispettata la proporzione tra essi. Alle commissioni così formate si aggiungono membri esterni con funzioni di consulenza tecnica. All’esito dell’istruttoria viene redatta una relazione, che non ha effetti vincolanti, per cui può non seguire alcun atto concreto, come detto.

Le commissioni dispongono degli stessi poteri istruttori dell’autorità giudiziaria, sia pure con «funzioni differenti» (Corte costituzionale, sentenza n. 26 del 2008). Quindi, ad esempio, esse possono acquisire documenti e interrogare testimoni, anche in forma coattiva. Ciò fa sì che le commissioni rappresentino una deroga al principio della separazione dei poteri, e pertanto dovrebbero costituire uno strumento eccezionale, non una regola. Tuttavia, se si dà un’occhiata al lungo elenco di quelle proposte nella legislatura in corso, si può dubitare che il principio sia tenuto da conto in Parlamento.

La valenza politica delle commissioni d’inchiesta

La storia delle commissioni d’inchiesta mostra come, se pur proposte talora da gruppi politici di minoranza, esse sono gestite da esponenti della maggioranza, essendo formate in base al criterio della proporzionalità tra i gruppi in assemblea, come detto. Inoltre, solo in rari i casi le opposizioni hanno ottenuto la presidenza delle commissioni, ruolo importante per la direzione dei lavori e, quindi, per il loro orientamento. Dunque, tali commissioni non possono essere definite come uno strumento a disposizione delle minoranze.

Talora le commissioni in esame sono state utilizzate dalla maggioranza parlamentare per far emergere responsabilità, anche penali, a carico di esponenti dello schieramento di opposizione, per fatti risalenti a quando tale schieramento era al governo. Il ricorso a questo tipo di inchieste – che il giurista Andrea Manzella aveva definito come “canaglia” (il riferimento specifico era a quelle Mitrokhin e Telekom Serbia) - rappresenta un uso distorto di tale strumento, in violazione delle prerogative dell’autorità giudiziaria.

Da tempo la Corte costituzionale (sentenza n. 231/1975) ha chiarito che il compito delle commissioni di inchiesta non è quello di “giudicare”, ma esclusivamente quello di «mettere a disposizione del Parlamento elementi utili», mediante la raccolta di notizie e dati necessari per l’esercizio delle funzioni conoscitiva e ispettiva delle Camere. La commissione non potrebbe «accertare reati e connesse responsabilità» perché, in quel caso, «invaderebbe indebitamente la sfera di attribuzioni dell'ordine giurisdizionale».

Mattarella e la commissione Covid

Alla cerimonia del ventaglio, il presidente Mattarella ha sostanzialmente ripreso le considerazioni della sentenza della Consulta del 1975, facendo un non troppo velato riferimento alla istituenda commissione Covid. Tale commissione, per com’è stata definita nel disegno di legge che la prevede, dovrà valutare l’azione governativa nel contrasto alla pandemia. La magistratura ha già archiviato l’inchiesta nei riguardi dell’ex presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e dell’ex ministro della Salute, Roberto Speranza. La commissione rischia di realizzare un’inchiesta parlamentare anche sull’inchiesta giudiziaria. Una sorta di inchiesta al quadrato, come l’ha definita il giurista Michele Ainis. A questo profilo pare riferirsi il passaggio del discorso ove Mattarella sottolinea che «iniziative di inchieste con cui si intende sovrapporre attività del Parlamento ai giudizi della magistratura si collocano al di fuori del recinto della Costituzione e non possono essere praticate». Passaggio che pare volto a fare in modo che si eviti la stortura che la commissione Covid sarebbe idonea a produrre.

Mattarella ha pure detto che «non sono le Camere a poter verificare, valutare, giudicare se norme di legge che il Parlamento stesso ha approvato siano o meno conformi alla Costituzione»: questo compito «è riservato, dall'articolo 134, in maniera esclusiva, alla Corte costituzionale», che peraltro si è già pronunciata sulla legittimità dei provvedimenti adottati in pandemia. Anche questo passaggio appare chiaramente riferito alla commissione Covid. La legge che la istituisce (art. 3), infatti, prevede il compito di verificare se tra le misure assunte dal governo — quindi anche attraverso leggi approvate dal Parlamento e firmate dal presidente della Repubblica — ci siano stati «obblighi e restrizioni carenti di giustificazione in base ai criteri della ragionevolezza, della proporzionalità e dell'efficacia, contraddittori o contrastanti con i princìpi costituzionali»; nonché di vagliare «il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali costituzionalmente garantite». In altre parole, la commissione dovrebbe valutare la costituzionalità delle misure adottate in pandemia – ad esempio, non solo il lockdown disposto da Giuseppe Conte, ma anche gli obblighi di vaccinazione e di green pass, introdotti dal governo di Mario Draghi – e ciò è in palese contrasto con quanto affermato dal Colle sulla scorta delle norme e della giurisprudenza della Consulta.

La commissione su Tridico

Le parole di Mattarella consentono di formulare alcune considerazioni anche circa la commissione parlamentare di inchiesta che Fratelli d’Italia vorrebbe istituire su Pasquale Tridico «per non avere consapevolmente attivato i controlli, al fine di non far perdere consenso elettorale e personale ai suoi mandanti», comportando così «enormi danni all’erario». Per la questione sembrerebbe più idonea un’eventuale inchiesta da parte della magistratura, realizzandosi altrimenti quella invasione di campo da parte del Parlamento che, come ribadito dal Presidente, è al di fuori dei confini costituzionali. A ciò si aggiunga che, ripercorrendo la storia delle commissioni, fino ad arrivare a quelle più recenti, non sembra ne sia mai stata costituita una ad personam, come invece si vuole fare verso Tridico. Peraltro, le commissioni d’inchiesta, ai sensi della relativa disposizione costituzionale, possono essere istituite solo «su materie di pubblico interesse», quindi non su singole persone.

A questo punto, ci si aspetta che il Quirinale ponga un’attenzione particolare alle nuove commissioni parlamentari d’inchiesta, sul loro uso e, soprattutto, sul loro abuso; e che deputati e senatori tengano conto delle parole di Mattarella, cosa che tuttavia non paiono usi a fare.

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