Chissà cosa diventerà questo ragazzo coi gambali dentro il fango, i pantaloni imbrattati, la schiena ritorta su quel mucchio di vita travolta dall’acqua e raccolta in una bacinella. Chissà lei dove sarà, quando avrà sciolto i capelli e sfilato i guanti gialli, chissà se il suo mestiere del futuro esiste, se l’hanno inventato già, se ha le idee chiare, ma poi chiare che significa.

Le idee si possono cambiare, possono deviare da un corso, si può sbagliare, ripartire, e invece ai ragazzi non lo diciamo mai. Li abbiamo gettati e lasciati dentro un flusso nel quale devono funzionare prima ancora di esistere. Chissà dove spunterà la strada di queste anime scese a sporcarsi le mani per l’Emilia e la Romagna, le anime che abbiamo chiamato angeli del fango, di nuovo, come al solito, angeli del fango, oppure la meglio gioventù, anche questa è perfetta, piace molto ai titolisti, passami l’etichetta che la metto sul barattolo.

La meglio gioventù anteriore a questa, aveva spalato nella melma di Firenze. Nicola Carati con la faccia di Luigi Lo Cascio non sapeva ancora che si sarebbe specializzato in psichiatria e che avrebbe sposato Giulia (Sonia Bergamasco) dopo averla sentita suonare il pianoforte, né suo fratello Matteo (Alessio Boni) immaginava che sarebbe passato dalla facoltà di Lettere alla divisa, a picchiare con i manganelli sulla folla, innamorato di Giorgia (Jasmine Trinca) dallo sguardo spento, rinchiusa dentro un istituto.

La meglio gioventù prima di questa, apparve al cinema nel film di Marco Tullio Giordana, era l’estate del 2003, fanno vent’anni proprio in questi giorni. La Rai continuava a rimandarne la messa in onda, finché non ci pensò il festival di Cannes a farne un caso. La storia di una generazione in 6 ore, il fango di Firenze, il Sessantotto, il terrorismo, Basaglia, Tangentopoli, una saga che prese 8 minuti di applausi alla fine della proiezione, nella rassegna Un certain regard, dove i francesi furono spiazzati da tanta «curiosità di ricordare», come la chiamava Giordana.

Quelli del 2003

L’Italia di quel 2003 aveva un’età media di 42,2 anni, quattro in meno di oggi. L’Istat raccontava con i suoi dossier che la riduzione dei livelli di fecondità nell’ultimo quarto di secolo aveva portato a una riduzione progressiva dei giovani nella fascia fino a 14 anni. Erano calati al 14,3 per cento del totale, contro il 22,6 del 1980.

Per ogni bambino avevamo all’incirca tre anziani, oggi sono diventati cinque. Il 7 percento ripeteva l’anno alle scuole superiori, ma per la prima volta le iscrizioni all’università crescevano rispetto all’estate precedente, circa del 12 percento. I giornali davano il merito all’introduzione dei nuovi corsi di laurea triennale che attiravano 91 matricole su 100. L’aumento, dice il Miur, prosegue tuttora. Nel 2003 le percentuali maggiori si registravano in Abruzzo, Lazio e Molise. Le opportunità di lavoro migliori si presentavano a chi usciva da ingegneria. Quell’estate andavano le barzellette di Totti e la canzone del capitano, muovi a tempo il bacino, eccetera; andavano la dieta a base di proteine e i costumi fiorati da surf per uomo, rigorosamente abbinati al gran ritorno dell'infradito. A ogni gioventù del resto tocca portare la sua colpa.

Sono le prediche degli adulti che non cambiano mai. Signora mia, non ci sono più i ragazzi di una volta, sono finite le ideologie, si sentivano ripetere i ventenni di vent’anni fa, dov’è finita la meglio gioventù che vediamo al cinema, dove sono gli angeli del fango? Giordana disse che il suo film non era ideologico, non si sentiva né ottimista né pessimista, non era un racconto di destra o di sinistra, è che «in ogni momento ci si dispera e ci si illude, volevo mettere in primo piano l’energia e la vitalità, ma ci sono anche le sconfitte».

La vita, insomma, uguale a sempre. Disse che andavano riabilitate alcune parole e alcuni valori, l'amore, la famiglia e la patria – ops – ma la patria aggiunse «non è quella geografica, la patria è la summa delle culture, dove ti senti a casa». Insomma c’era un ragionamento. Dopo invece i ragazzi li abbiamo chiamati bamboccioni e basta, così come per le sconfitte adesso si adopera il termine “fragilità”.

E allora parte il circo delle analisi e delle discussioni, c’è sempre un’etichetta facile da qualche parte, buona a spiegar tutto, salvo non riuscire a chiarire se la fragilità è nostra che non sappiamo parlargli, non sappiamo vederli soffrire, o la loro che soffrono davvero, se in questa epoca delle passioni tristi, come ha scritto Miguel Benasayag «la complessità del tutto naturale del vivere è forse diventata patologica. Cosa succede quando la crisi non è più l’eccezione alla regola, ma è essa stessa la regola nella nostra società?».

Quelli del 1954

Solo che. Non ci sono più i ragazzi di una volta, lo dicevamo pure quando le ideologie esistevano ancora, eccome. La prima meglio gioventù che abbiamo mai avuto è stata quella del 1954, l’anno in cui esce una raccolta di poesie in friulano con questo titolo. Tre anni prima era passata dal premio Venezia, era entrata nella dozzina dei finalisti e i giornali avevano sbagliato il nome dell’autore, lo avevano chiamato Pier Paolo Pardini. Di gioventù nel 1954 si parla perché il professor Fraschini annuncia a un congresso di gerontologia l’esistenza di iniezioni di ormoni ricavati dai tori, fanno miracoli, a una certa età.

Nell'arco di ventiquattro ore, in quell’estate, a Milano c’è un’aggressione in casa a un artigiano, un’altra a tre coppie di innamorati, una terza a una bambina di sei anni. Dei sette arrestati, solo uno ne ha più di venti e il Corriere della sera descrive tutti come «gli ultimi figli dell'epoca difficile e angosciosa seguita alla fine della guerra». Segue descrizione socio-identitaria: portano maglioni di lana con impossibili ricami sul petto, fumano sigarette Raleigh («quasi d'obbligo per i banditi») e portano la pistola appesa sotto l'ascella, alla maniera di Dillinger. «È tutta colpa loro? O si deve parlare di educazione sociale sbagliata, di mancata assistenza, di abbandono?».

La commissione del centro nazionale di prevenzione e difesa sociale presso l'Unesco presentava in quei giorni uno studio «per difendere l'infanzia dai pericoli di una stampa, di un cinema, di una radio e di una televisione diseducativi», un po’ come tutte le volte in cui - dopo - ce la siamo presa con Scorsese o con Gomorra.

Al congresso di Perugia, la federazione giovanile comunista italiana raccomandava ai ragazzi «la propaganda individuale, svolta dal giovane comunista nella famiglia, fra gli amici, sul luogo di lavoro, nella scuola», per «sgretolare le basi dei movimenti giovanili democratici, disorientare quelle forze di resistenza, sia cattoliche sia laiche, che detengono ancora la maggioranza nelle università e dispongono di vaste simpatie e di vasti consensi nel mondo della gioventù». In fondo: l’estate militante. Il Corriere della sera parlò di manovre e scaltrezza comunista. Il segretario dei giovani si chiamava Enrico Berlinguer e aveva gli stessi anni di quel Pier Paolo Pardini, anzi Pasolini.

Chissà che cosa diventerà, allora, questa nuova meglio gioventù che non capiamo, di cui diciamo male come sempre. Il film di Giordana si concludeva con il figlio di Matteo e la fidanzata in viaggio in Norvegia, dove il padre e Nicola sarebbero dovuti andare in quell'estate del 1966. «Tutto è veramente bello», pare ad Andrea, e pazienza se noi non li capiamo.

L’altra mattina una signora elegante scrutava in metro un mucchio di ragazzine intente a scrollare col pollice lo schermo, allora se n’è lamentata con un’amica, scuotendo il capo, quelle lì, come fanno, stanno sempre con la testa sul telefono. L’amica l’ha guardata e le ha risposto: «Scusami, Elena, non ho sentito. Stavo mandando un messaggio».

© Riproduzione riservata