Daniele Del Giudice, scomparso qualche settimana fa, mise in scena nel romanzo Atlante occidentale (1985) l’amicizia tra un fisico e uno scrittore, che fantasticano su un possibile incontro tra due loro famosi colleghi passati: «Forse esiste davvero un tempo parallelo in cui Einstein e Kafka si sono incontrati. Forse ci sono tempi diversi dal nostro in cui Einstein e Kafka escono ogni giorno di casa, stanno per incontrarsi, tornano indietro; escono di nuovo, sono sul punto di farcela, ritornano a casa. O tempi ciclici in cui Einstein e Kafka si incontrano ogni tanti anni e dicono “Ancora lei!”, tempi dell’attesa in cui passano la vita aspettando d’incontrarsi e ogni istante potrebbe essere quello buono, ma non si incontrano perché in realtà si sono già incontrati senza che nessuno dei due se ne accorgesse; o tempi biforcuti in cui si incontrano e contemporaneamente non si incontrano, e il fatto è del tutto equivalente».

Forse. Ma nel nostro tempo, quello del mondo reale, Einstein e Kafka si sono mai veramente incontrati? Sembrerebbe di sì, almeno stando a un paio di libri recenti, che fin dal titolo promettono di raccontare Quando Einstein incontrò Kafka: uno dello scozzese James Know Whittet (2012), e l’altro dello spagnolo Diego Moldes (2019). In realtà, molto dipende dal significato che si dà al verbo “incontrare”, ma sicuramente c’erano le premesse perché un incontro avvenisse per davvero.

Il piccolo circolo di Praga

Infatti, tra il 1911 e il 1912 Einstein visse per sedici mesi a Praga, dove aveva ricevuto una cattedra: ormai non era più l’oscuro outsider svizzero impiegato all’Ufficio brevetti di Berna, che nel 1905 aveva rivoluzionato la fisica con la relatività speciale e l’effetto fotoelettrico, ma non era ancora la rockstar tedesca della fisica moderna, che nel 1919 sarebbe assurta agli onori della cronaca planetaria con la conferma sperimentale della relatività generale. Era piuttosto un astro nascente, la cui fama iniziava a diffondersi anche al di fuori degli ambienti strettamente scientifici.

In quello stesso periodo il boemo Kafka era invece un ignoto scrittore, che non aveva ancora pubblicato nessuna opera. Apparteneva però a un ristretto gruppo di giovani intellettuali ebrei, che il suo amico Max Brod chiamò in seguito il «piccolo Circolo di Praga». Così racconta l’austriaco Philipp Frank, successore di Einstein sulla cattedra di Praga e membro del grande Circolo di Vienna, nella sua biografia Einstein (1947): «In quel tempo a Praga c’era già un gruppo di ebrei, che voleva vivere fra gli ebrei una vita intellettuale indipendente. Non vedevano di buon occhio una presa di posizione ebrea nella disputa fra i nazionalisti tedeschi e cechi. Il gruppo era fortemente influenzato dalle idee semi-mistiche del filosofo ebreo Martin Buber. Erano sionisti, ma in quel periodo prestavano poca attenzione alla politica pratica e si interessavano soprattutto di arte, letteratura e filosofia. Einstein fu presentato al gruppo, incontrò Franz Kafka, e divenne particolarmente amico di Hugo Bergmann e Max Brod».

Ma cosa intende precisamente Frank, dicendo che Einstein incontrò Kafka? L’unica cosa che sappiamo è che i due si trovarono insieme una volta nella stessa stanza: precisamente, il 24 maggio 1911 nel Salotto di Berta Fanta, chiamato anche Café Louvre dal luogo delle sue prime riunioni. La signora Fanta era la moglie del farmacista di piazza della Città Vecchia, e in seguito ospitò le riunioni direttamente a casa sua, al piano sopra la farmacia, che si chiamava L’Unicorno bianco.

È Max Brod ad aver annotato nel suo diario la data, oltre al fatto che quel giorno lui e i suoi amici avevano assistito a una conferenza di Einstein sulla relatività, una teoria che all’epoca non richiedeva aggettivi qualificativi: esisteva infatti soltanto la versione speciale del 1905, mentre quella generale del 1915 Einstein la stava sviluppando proprio in quel periodo a Praga, e sicuramente non era ancora in forma presentabile, soprattutto a un pubblico eterogeneo come quello del Salotto.

Brod aggiunge che Kafka non partecipò alla successiva conferenza di Einstein sullo stesso argomento, e in seguito nessuno dei due disse mai di aver incontrato l’altro, per quanto ne sappiamo.

La targa che oggi sta nel sito della farmacia in piazza della Città Vecchia, e ricorda «l’amicizia sbocciata in quel luogo tra Einstein e Kakfka», è dunque molto tirata per i capelli, come precisa Michael Gordin in Einstein in Boemia (2020): «Sappiamo che Einstein ha passato parecchio tempo in quel luogo. È lì che conobbe Max Brod, e approfondì la sua amicizia con Hugo Bergmann. Ed è lì che probabilmente si trovò una volta nella stessa stanza con Kafka, nella primavera del 1911».

Indizi

Dunque, il grande fisico e il grande scrittore non si sono mai veramente conosciuti, ma sicuramente conobbero qualcosa delle rispettive opere, benché entrambi in maniera solo superficiale. Probabilmente a Kafka non interessavano molto né la fisica, in generale, né la relatività, in particolare: in fondo, aveva resistito solo due settimane all’università di chimica, dove si era iscritto da studente, passando immediatamente a giurisprudenza. Non a caso, assistette alla prima conferenza di Einstein al Salone, ma non alla seconda.

Il 1 aprile 1921 Kafka scrisse però una lettera alla sorella Ottilie, accludendo un articolo del Giornale del popolo di quello stesso giorno intitolato Trattamento della tubercolosi in base al principio della relatività di Einstein? L’idea della cura consisteva nell’imbarcare a Trieste i malati su navi-sanatorio, facendoli viaggiare ad alta velocità da ovest verso est, nella stessa direzione della rotazione terrestre: in tal modo essi avrebbero potuto irrobustire il proprio organismo grazie all’aumento relativistico della propria massa, previsto dalle formule di Einstein.

Naturalmente l’articolo era un pesce d’aprile, e Kafka lo mandò alla sorella perché lo girasse al marito: un esempio di umorismo nero, visto che sia lo scrittore che il cognato erano entrambi tubercolotici, e Kafka stesso scriveva da un sanatorio dov’era ricoverato da qualche mese. Morì appunto di tubercolosi nel 1924, senza aver pubblicato che qualche racconto, il più importante e noto dei quali era La metamorfosi (1915). Furono invece pubblicati postumi da Brod i romanzi Il processo (1925), Il castello (1926) e America (1927), benché l’autore avesse chiesto all’amico di bruciarli tutti.

Einstein lesse qualcosa di qualcuna di queste opere, ma anche qui abbiamo soltanto notizie vaghe. Il critico Alfred Kazin raccontò infatti nel libro In terra natia (1942) che Thomas Mann aveva imprestato un’opera di Kafka allo scienziato, e questi gliel’aveva restituita con la nota: I couldn’t read it, the human mind isn’t complicated enough. L’aneddoto è poi stato ripetuto innumerevoli volte, da Il problema Kafka (1946) di Angel Flores a Sei passeggiate nei boschi narrativi (1994) di Umberto Eco.

Interpretazioni

Anche ammesso che la storia sia vera, non sappiamo però di che opera di Kafka si trattasse: probabilmente una delle sue due più famose, e cioè La metamorfosi o Il castello. E, soprattutto, non sappiamo cos’abbia detto veramente Einstein: la sua frase è riportata di seconda mano, prima da Mann e poi da Kazin, che l’ha comunque tradotta dal tedesco in inglese. Che Einstein non sia riuscito a finire di leggere Kafka, risulta chiaro. Ma a quale mente umana si riferisse, se a quella di Kafka o alla propria, no.

Nel primo caso, Einstein avrebbe abbandonato un libro che trovava ingarbugliato e inconcludente, mostrando di non aver tempo da perdere con uno scrittore che non era in grado di comprendere razionalmente e logicamente il mondo. Nel secondo caso, invece, Einstein avrebbe trovato il libro incomprensibile o indigesto, gettando la spugna di fronte alle difficoltà di un linguaggio e di un pensiero che non erano i suoi. Probabilmente gli scienziati propenderanno per la prima spiegazione, e gli umanisti per la seconda.

Sicuramente l’umanista Eco la pensava così, e azzardava che «forse Einstein lamentava la lentezza del racconto». E l’umanista Flores anche, aggiungendo: «Se Einstein ha trovato che Kafka andasse oltre i limiti della sua comprensione, è l’unico ad averlo ammesso. Quasi tutti coloro che leggono Kafka, per non parlare di quelli che non lo leggono, non sembrano avere il minimo dubbio di comprenderlo perfettamente, e di essere gli unici a riuscirci».

Cosa pensino gli scienziati di Kafka è più difficile saperlo, per ovvi motivi, ma sappiamo almeno cosa ne pensava Kurt Gödel, che era amico intimo di Einstein, e andava regolarmente a passeggio con lui. Una sua lettera alla madre del 4 luglio 1962 testimonia che di Kafka i due amici non parlarono mai, visto che Einstein morì nel 1955, ma svela che Gödel riteneva lo scrittore matto, ma intenso, e la lettura delle sue opere gli suscitava sogni o incubi: «Recentemente ho scoperto un certo scrittore di nome Kafka, che non conoscevo. Scrive un po’ da matto, ma ha un modo molto intenso di rappresentare le cose. Ad esempio, la sua descrizione di un sogno ha avuto l’effetto di farmene vividamente sognare due la notte dopo, che ricordo ancora esattamente: cosa che non mi era mai successa».

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