Un Re viziato e narciso, giocoso e arrogante, dolente e afflitto, ma sempre all’eccesso rivelando un’inesauribile ingenuità che fu la sua forza e la sua delicatezza. Figlio di una Trastevere popolare e aristocratica, fu il capopopolo di un’armata di caratteristi straordinari capaci di una palingenesi incredibile: fare cinema da soli
Oltre centocinquanta sono i film a cui ha preso parte Alvaro Vitali, numeri da grande star del cinema, seppur ottenuti in quel lato B che ha segnato la storia del cinema italiano del Novecento e di cui Alvaro Vitali ha rappresentato agli occhi dei critici più ideologizzati e ottusi una vera vergogna. E in fondo di vergogna raccontavano le commedie cosiddette sexy e scollacciate degli anni Settanta che con ingenuità, candore e sempiterno maschilismo stavano portando l’Italia fuori dagli anni dell’assemblea continua e della P38 facile.
Le sexy commedie rivelavano per la prima volta senza mezzi termini le abitudini poco consone di un paese che si diceva cattolico, ma che si rivelava più che altro beghino. Docce fatte di insistenti risciacqui, vasche da bagno con molta schiuma dentro cui scivolare casualmente tra le braccia di una donna e poi tantissimi buchi della serratura da cui spiare alternativamente alle scalette su cui si arrampicavano improbabili e seducenti governanti.
A spiare i maschi di casa, i capifamiglia – spesso commercianti arricchiti dalla fiscalità poco regolare – con mogli abbandonate alle faccende domestiche. Con loro figli un po’ tonti, specchi dei padri, ma da loro rifiutati e molto accuditi da madri apprensive. Ogni tanto una suocera o in alternativa uno zio nullafacente, spesso complice se non contenente della bella di turno. Lo schema era quello classico della commedia all’italiana di Age & Scarpelli, di Mario Monicelli e Dino Risi, ma senza più alcuna remora.
Le commedie sexy avevano infatti un unico scopo, quello di fare grossi incassi al botteghino esibendo però al tempo stesso, non uno specchio del paese, ma – in un movimento fortemente semplificatorio e non poco stupefacente – il paese stesso. Se la maschera di Alberto Sordi ha rappresentato gli italiani e lo fa tutt’ora, quella di Alvaro Vitali era non più la maschera, ma il viso e le pulsioni dell’italiano medio che si rivelava (senza ribellarsi) dopo anni di compressione obbligata dalle due chiese imperanti, quella democristiana e quella comunista, ma anche da una liberazione giovanile, indiana e metropolitana che non lo comprendeva e anzi lo escludeva.
Un cinema pronto all’uso e consumo
Era quasi una reazione rabbiosa, sicuramente scomposta e figlia di un benessere che era stato improvviso e ingurgitato dopo anni (decenni) di fame, ma anche frutto della paura di un’austerità che improvvisamente tornava a minacciare il ceto medio. L’uscita da queste opposte tensioni fu distruttiva: il cinema non doveva più solo divertire e rappresentare, ma doveva essere pronto all’uso e al consumo delle pulsioni di un paese e dei suoi maschi che non volevano più essere educati da una classe dirigente in cui non si riconosceva più e forse mai si era per davvero riconosciuto.
Tette, culi, scoregge e parolacce furono così gli albori di un populismo che avrebbe invaso tutti i territori pubblici, prima celando grazie ai copiosi incassi, poi esplicitando la crisi del cinema. Un po’ come ora sta avvenendo per la politica. Di quel cinema Alvaro Vitali fu il Re bambino, profondamente e candidamente infantile e come tale dotato di un’energia assoluta come seppe intuire Federico Fellini che per primo lo scoprì e ne colse la delicatezza così come la forza.
Vitali fu un Re viziato e narciso, giocoso e arrogante, dolente e afflitto, ma sempre all’eccesso rivelando un’inesauribile ingenuità che fu la sua forza e la sua delicatezza. Alvaro Vitali fu esposto sia come l’esemplare del popolo da una borghesia spocchiosa, vacua e codina, ma fu anche il popolano capace di ribellarsi – alla sua maniera – godendo lontano da ogni misura il proprio successo, e anche il proprio fallimento.
Figlio di una Trastevere popolare e aristocratica, Vitali fu il capopopolo di un’armata di caratteristi straordinari capaci di una palingenesi incredibile: fare cinema da soli. Freaks, impresentabili di ogni sorta, ma anche grandi attori in sventura e comici di strada, un mondo coloratissimo e candido di cui ora cogliamo l’ingenuità e anche la malinconia.
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