Alzi la mano chi non ha avuto un’idea brillante mentre faceva moto. Vale anche avere cambiato idea, illuminandosi su una situazione o su una persona; essere partiti al mattino di cattivo umore e arrivati a destinazione, dopo una scarpinata, con la mente sgombra da nubi, aver messo ordine o fatto pace con ricordi o eventi passati, aver sentito scorrere la voglia di progettare qualcosa – o anche solo l’entusiasmo di esserci – nel flusso del sangue.

Camminare non è solo l’unica maniera che la natura ci ha concesso per spostarci prima che l’uomo inventasse mezzi artificiali ma un’attività ineludibile per la nostra esistenza: il corpo non è una scatola di ferro ma una macchina complessa e necessita – quotidianamente, anche se molti credono di poter confinare il tutto in quei quaranta minuti settimanali di sudata – di esercizio.

Senza manutenzione, funziona male. «Una passeggiata da dodici minuti altera cinquecentoventidue metaboliti nel sangue, molecole che influenzano il battito del cuore, il respiro nei polmoni, i neuroni del cervello. Quan­do camminiamo, l’ossigeno scorre impetuoso in noi, con un effetto sugli organi vitali, la memoria, la creatività, l’umore e la capacità di pensare».

Ora: questo (Sul Camminare – 52 modi per perdersi e ritrovarsi, Add editore) non è un libro scritto da un medico, né da un patetico guru in cerca di una qualche visibilità ottenuta rimasticando quattro luoghi comuni su quanto sia bello recuperare l’arte del mettere un piede avanti all’altro rinunciando a inquinare l’aria con i motori a scoppio. Lo firma Annabel Streets ma lei è Annabel Abbs, nota romanziera e autrice di racconti; somiglia a un saggio ma è un’esperienza personale, una prova nata dalla spaventevole considerazione di essere diventata, in età ancora giovane, schiava della vita metropolitana e dell’uso smodato dell’automobile.

Stimolo dimenticato

Abbs, un bel dì, ci ha dato un taglio e ha pensato a tutte le ragioni che le impedivano di superare i due chilometri di passi alla settimana: il lavoro, il freddo, la pioggia, la noia, il fango, il caldo, il vento, la solitudine, la mancanza di scopo o di contesto favorevole (non tutti, è vero, vivono nello Yorkshire o nelle Langhe).

Ma una verità, acclarata scientificamente da decenni ma resistente alle più ottuse credenze trasversali delle società occidentali, è che non è la temperatura bassa, o l’aria fredda, o il sudore a farci ammalare. E che non esistono motivi sensati che ci abbiano allontanati dall’istinto di camminare per raggiungere qualunque meta: sia essa la scuola, l’ufficio, il supermercato, casa di un parente o un amico, un bar, un negozio. O anche nulla, se non il piacere e il bisogno di rimettere in circolo le energie e dare vigore all’organismo: uno stimolo che abbiamo disimparato a riconoscere.

52 modi di camminare

Da professionista consumata, Abbs si è tenuta alla larga dalla trattazione pedante di studi clinici, ammorbidendo i passaggi più tecnici con aneddoti di prima mano – anzi, piede – e storie gustose: compresi episodi di personaggi illustri, come Immanuel Kant e la sua immancabile passeggiata delle cinque del pomeriggio: «Era così preciso nel ri­spettare la routine che gli abitanti della città, Königsberg, regolavano gli orologi al suo passaggio. Ma l’attenzione di Kant non si limitava all’orario. Ossessionato dalla salute, era affascinato dal respiro, e sviluppò persino una tecnica per cui respirava solamente dal naso, 250 anni prima che il ruolo della respirazione nasale sulla salute fosse scientificamente assodato. Era così risoluto a respirare soltanto dalle narici che rifiutava di camminare con un compagno, temendo che la conversazione lo inducesse, senza volere, a inspirare dalla bocca. Kant visse fino a poco prima del suo ottantesimo com­pleanno, età fenomenale nel 1804».

In questo slalom di alto e basso, specimen illustri e consigli da prontuario (per chi cammina con figli piccoli: dare ai bambini uno zaino in miniatura con dentro lo spuntino preferito, onde limitare lamentele, prese in braccio, lusinghe e persuasioni; per le brevi passeggiate locali, sostituire allo zaino un marsupio che tenga lo scheletro allineato in postura e faccia oscillare le braccia) il libro segna 52 modi, uno alla settimana, «per perdersi e ritrovarsi». Insomma, per andare. E non importa se non si ha nel curriculum la Critica della ragion pura.

C’è, per esempio, la camminata post-cena che sostituisce Netflix, perché sì, anche la litania secondo cui camminare a stomaco pieno faccia male è una bufala bella e buona, anzi, più si cammina (a passo lento) dopo un pasto abbondante, meno è probabile la costipazione o una digestione lenta, con annessa notte di rotolamenti nel letto. Nella settimana 50 c’è la camminata che aiuta a dormire la notte, nella settimana 12 la guida per camminare sotto la pioggia, nella settimana otto la camminata per guarire gli occhi rinsecchiti da ore di display.

A piedi nudi

Per chi se la sente e rammenta le gesta di Abebe Bikila, poi, nella settimana 29 compare una coraggiosa camminata a piedi nudi (eh ma i vetri per terra? Lo sporco? Le pietre affilate?). Muoversi da scalzi, anzitutto, evita che il peso delle scarpe gravi sulle articolazioni, il ginocchio in particolare.

Ma non è, lo si sarà compreso, solo una questione clinica: il piede a contatto diretto col terreno, una pratica naturale abolita dalla modernità e che riscopriamo quella volta l’anno in cui ci togliamo le scarpe e calpestiamo un prato, può dare soddisfazioni letteralmente inaspettate: «Quando andiamo in giro a piedi nudi camminiamo in modo diverso, atterrando con maggiore leggerezza, pestando meno forte con il tallone e distribuendo il peso in maniera più uni­forme. Siamo più lenti e facciamo passi più brevi, ma anche più numerosi. La cosa interessante è che ci apriamo a una straordinaria gamma di sensazioni che i nostri stivali dalla suola spessa e le nostre scarpe da tennis ultra-ammortizzate si lasciavano sfuggire».

E ora, tenetevi forte: «I piedi hanno il doppio delle termina­zioni nervose di un pene, cosa che li rende una delle parti più sensuali e intensamente tattili del nostro corpo (…) Stare scalzi cambia la nostra esperienza del camminare. Non solo ci muoviamo in modo diverso, ma ci sentiamo stra­namente radicati, consapevoli di un nuovo universo sotto di noi. È una camminata completa, e ci rende felici».

Petrarca e tapis roulant

Non è tutto rose e fiori, manco quando si scelgono i panorami più attraenti: nel capitolo dedicato al cammino in collina (settimana 38) si dà conto, nella parte medi-tech, del vantaggio per chi si dedica a questa attività sull’abbattimento del colesterolo cattivo, l’Ldl, la versione appiccicosa sulle arterie.

Ma anche di quella volta che un celeberrimo autore ebbe la bella idea di scalare il Mont Ventoux a piedi: strade asfaltate e biciclette sarebbero arrivate dopo, molto dopo. In una mite giornata primaverile del 1336, Francesco Petrarca e il fratello si avventurarono verso la cima. Il primo prese la strada più lunga e sinuosa, l’altro la via più dritta. Solo che «la via cresceva e l’inutile fatica mi stanca­va» e, mentre il fratello era sdraiato a godere del riposo del giusto ormai sulla vetta, Petrarca smoccolava e rimpiangeva di aver dato retta, ante litteram, ai consigli di Annabel Abbs.

E per chi obietta che i ritmi di oggi non consentono tanta libertà di darsi alle passeggiate, a pagina 227 c’è la soluzione – astenersi naturalisti – del tapis roulant da scrivania. Non solo esiste ma uno studio ha dimostrato che aumenta, in percentuali vertiginose, la capacità di creare e risolvere problemi sul lavoro.


Sul camminare. 52 modi per perdersi e ritrovarsi (Add 2023, pp. 304, euro 18) è un libro di Annabel Streets, pseudonimo con cui Abbs pubblica i suoi saggi

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