Le pioniere come Ciani, Radigue e Spiegel hanno rivoluzionato il panorama musicale. La prima Biennale Musica diretta da Caterina Barbieri ha dato loro ampio spazio
«Come si fa a esorcizzare il canone della musica classica dalla misoginia? Con due oscillatori, un giradischi e un delay a nastro». Con calma convinzione, Pauline Oliveros, compositrice e sperimentatrice, l’ideatrice del deep listening, spiega in una delle interviste raccolte nel fondamentale documentario Sisters with transistors quali sono le armi di una rivoluzione che possa finalmente scuotere le fondamenta patriarcali delle istituzioni musicali: gli strumenti elettronici.
E nella prima edizione della Biennale Musica diretta da Caterina Barbieri, era davvero inevitabile che non ci fosse un omaggio, accorato e spontaneo, ad alcune delle protagoniste di un momento di cambiamento importante, avviato in particolare tra gli anni Sessanta e Settanta, in cui cominciano ad affermarsi alcune tra le più innovative musiciste della nuova musica elettronica. Ed ecco l’invito a Venezia, a presentare alcuni dei loro nuovi lavori, a Suzanne Ciani, Éliane Radigue, Laurie Spiegel.
Universo in espansione
La presenza di Laurie Spiegel (che oggi ha 80 anni) in realtà è avvenuta tramite il Dither Quartet, un quartetto di chitarre elettriche nato a New York, che ha reintepretato quello che è uno dei lavori più importanti della musica realizzata con il computer, The expanding universe. Si tratta di un disco composto attraverso algoritmi e combinazioni di logica informatica, pubblicato nel 1980, punto di riferimento per tutta la successiva scena ambient ed elettronica. La versione dei Dither, capaci di ricreare gli stessi suoni cosmici e avvolgenti, dosando alla perfezione effetti e armonizzazioni, è sorprendente (mentre il musicista austriaco Fennesz ha portato dal vivo una nuova incarnazione, vent’anni dopo, del suo album Venice).
Un risultato che ha colpito la stessa compositrice, che nella nota di presentazione scrive: «Quando ho composto questa musica, non mi sono mai soffermata troppo a pensare se potesse essere eseguita da musicisti umani. Ho semplicemente dato per scontato che fosse fuori questione, che non potesse essere suonata dal vivo. Con mia grande gioia, hanno smentito i miei dubbi e hanno prodotto una performance straordinaria dopo l’altra».
Quello tra Suzanne Ciani e Actress è stato invece un incontro anomalo, capace di mettere in comunicazione mondi lontani, anche dal punto di vista generazionale, eppure estremamente fertile. Suzanne Ciani, forse il nome più celebre tra le musiciste della nuova musica elettronica, legata alle sperimentazioni con il sintetizzatore Buchla, da qualche tempo (a 79 anni) ha dato vita al progetto Concrète waves insieme ad Actress, musicista britannico molto ispirato da techno e r&b, anche se dallo stile difficilmente incasellabile in un solo genere.
Un grande tavolo, i due musicisti messi una di fronte all’altro, al centro del teatro, con il pubblico che si dispone tutto attorno. I suoni avvolgenti, continui di Ciani, a interagire con le sequenze più ritmiche di Actress, quasi in uno scontro, dove l’aggressività industrial irrompe a dare una forma nuova alle atmosfere astrali create dal Buchla. Una prova che contamina i linguaggi, trasforma l’ascolto facendo collidere due esperienze radicali.
La “madre spirituale”
C’è stato anche l’omaggio a Catherine Christer Hennix, matematica e musicista svedese scomparsa nel 2023, che Caterina Barbieri ha definito come «madre spirituale» di quest’edizione, per l’approccio alla musica in direzione della meditazione e di una trascendenza ottenuta esplorando un’infinità di generi musicali e stimoli culturali, da Stockhausen alla psicanalisi, dall’avanguardia di Fluxus alla spiritualità sufi. Sul palco del teatro alle Tese (in Arsenale) è salito anche il Kamigaku Ensemble, fondato dalla stessa compositrice, a portare un concerto ispirato dalle sue tecniche compositive, molto legate alla meditazione e a suoni minimali e prolungati.
Il percussionista italiano Enrico Malatesta invece ha eseguito una composizione scritta appositamente per lui da Éliane Radigue. La compositrice francese, che ora ha 93 anni, ha cominciato a sperimentare negli anni Cinquanta, ispirata dalla musica concreta, lavorando con registratori a nastro e sintetizzatori, tra le prime a suonare quella che definiamo musica drone.
Negli ultimi anni si è interessata sempre più agli strumenti acustici, creando una serie di composizioni (quella che suonerà Malatesta si intitola Occam XXVI) in collaborazione con diversi musicisti in tutto il mondo, comunicando a voce le partiture, modalità inedita e innovativa in cui ancora una volta si conferma precorritrice.
Una storia al femminile
Del resto, stiamo parlando di coloro che Johann Merrich, compositrice sperimentale e ricercatrice, nel suo primo libro (uscito una decina d’anni fa) chiama le pioniere della musica elettronica. Si trattava del primo capitolo di una lunga ricerca sulle avventurose vicende legate agli strumenti elettronici.
Esiste infatti una storia nascosta, perché dimenticata, volutamente taciuta, che riguarda molte compositrici capaci di inventare tecniche e innovare strumenti, dal theremin al computer, fino ai sintetizzatori, scomparse dal racconto ufficiale della musica sperimentale. È una storia anche italiana, che ha conosciuto sperimentatrici importanti come Teresa Rampazzi e Franca Sacchi, tra le autrici oggetto di una riscoperta recente, soprattutto tra le musiciste che negli ultimi anni stanno donando nuova vita all’elettronica in Italia.
A partire da Johann Merrich e la sua etichetta (ormai defunta) Electronic Girls, fino al collettivo Poche, fondato dalle musiciste Elasi e Plastica. Fino ad arrivare proprio a Caterina Barbieri, compositrice sperimentale capace come pochi di portare l’elettronica colta al pubblico dei grandi festival come Sonar e Primavera, usando i sintetizzatori modulari per creare suoni estatici, particolarmente efficaci sul dancefloor.
La musicista 35enne bolognese, dopo aver vissuto a lungo in Svezia e a Berlino, e dopo le prime collaborazioni con la Biennale, ha ottenuto un riconoscimento importante e inaspettato, con la nomina a direttrice artistica dopo i quattro anni guidati dalla compositrice Lucia Ronchetti.
E riuscendo già a dare un’impronta significativa al suo biennio, andando alla radice del rapporto tra uomo e macchina, ma esplorando le sperimentazioni anche attraverso il corpo e l’ambiente, con diversi lavori nati in simbiosi con la città e la sua laguna. Il Leone d’Oro assegnato lunedì a Meredith Monk, creatrice di universi sonori a partire dalla voce, è un indice della nuova direzione.
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