Durante un weekend di fine giugno, insieme a degli amici, ho fatto un giro in macchina, nella contea di Yolo, una zona rurale della Sacramento Valley in California. Era il secondo giorno di una lunga ondata di caldo e la temperatura stava per toccare i quaranta gradi. La strada luccicava.

Mentre ci avvicinavamo alla nostra destinazione, sfrecciando tra coltivazioni di frutta fresca e a guscio, siamo passati davanti a un noceto. Gli alberi erano stati segati all’altezza delle radici, i ceppi erano ordinatamente disposti in filari e spiccavano piatti e fragili sullo sfondo terroso.

Piantare e distruggere

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Quella sera ho chiesto a un amico agricoltore, sempre di alberi di noci, che cosa fosse successo in quel frutteto. Mi ha spiegato che era un problema legato a un insieme di fattori. Le noci sono un’industria che vale miliardi di dollari, ma durante la pandemia le cose si sono complicate.

In California era già in corso una crisi della mano d’opera; inoltre, a causa dello sconvolgimento della filiera globale, i costi dei macchinari e dei pezzi di ricambio erano aumentati. Secondo il mio amico il noceto che avevo visto sarebbe stato produttivo almeno per un altro decennio, ma dal punto di vista economico non aveva più senso curare gli alberi e raccogliere i frutti.

Mi ha anche detto che molti coltivatori dello stato stavano valutando i prezzi di mercato dei loro prodotti in rapporto al costo crescente dell’acqua. Per rispettare i contratti alcuni avevano piantato troppo, e avevano scoperto che era più conveniente uccidere certe colture piuttosto che procedere con il raccolto. Altri avevano già ridimensionato e piantato meno.

I contadini stavano limitando la produzione, distruggendo le piantagioni e gettando le eccedenze. Si trattava di misure che potevano sembrare brutali, perfino incomprensibili, ma erano la risposta a questioni complesse e collegate tra loro: politiche di immigrazione, guerre commerciali, carenza di alloggi, monopoli dell’agro business, cattiva gestione delle risorse, cambiamento climatico, globalizzazione, interruzioni della filiera, finanziarizzazione accelerata.

La maggior parte delle analisi sull’agricoltura californiana parte dalla Central Valley: una depressione delimitata perlopiù da catene montuose, che si estende per quasi tutto lo stato e racchiude più di un terzo delle coltivazioni di ortaggi e due terzi di quelle di frutta fresca e a guscio del paese.

La Central Valley sta cambiando

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Gli agricoltori della regione forniscono pressoché tutto il sedano, l’aglio, i fichi, le olive, l’uva passa, i kiwi e i pomodori da conserva degli Stati Uniti, e anche le varietà di frutta a guscio che si possono acquistare in tutte le stazioni di servizio: pistacchi, mandorle, noci pecan, noci.

La fertilità della Central Valley è motivo d’orgoglio per molti californiani, ma andarci per la prima volta nell’estate del 2021, dopo il mese più caldo mai registrato al mondo mette paura.

La fertilità della Central Valley è stata a lungo attribuita al suo clima mediterraneo, paragone che non tiene conto del fatto che il clima del vero Mediterraneo sta cambiando. La siccità del 2020 è stata così pesante che per compensarla sarebbero necessari anni di intense precipitazioni. Ma la pioggia è solo una parte dell’equazione.

L’aumento delle temperature inaridisce il terreno; secondo un recente rapporto dell’organizzazione ambientalista Sierra club, gli incendi alterano «la capacità della terra di autoregolarsi».

In un documento del 2018 pubblicato sulla rivista Agronomy, i ricercatori dell’università della California hanno stabilito che il clima dello stato è cambiato in maniera così significativa che sarà necessario che il settore agricolo si adatti al più presto ad affrontare una serie di tendenze in continuo peggioramento, tra cui «il calo della resa delle colture, l’aumento della pressione di parassiti e malattie, la crescita del fabbisogno idrico per le colture... e l’incertezza sulla futura sostenibilità di alcune colture altamente vulnerabili».

Durante il caldo prolungato e senza precedenti dell’estate 2021, i lavoratori agricoli della California, esposti a temperature altissime, hanno rischiato spesso la disidratazione e il colpo di sole. Le vacche da latte soffrivano di stress da calore, e i manzi e gli agnelli erano letargici.

Le prugne cadevano prematuramente; noci e mele sono state riarse dal sole. Sulla costa, in Canada e nel Pacifico nordoccidentale, i chicchi marcivano sulla vite, i piccoli di falco saltavano dal nido per evitare il solleone e vongole e cozze cuocevano nei loro gusci. Avocado e limoni sono risultati più minuscoli del solito. Il prezzo degli alimenti di base sta aumentando.

Le piccole piantagioni di riso a grano corto della Sacramento Valley, insieme a un’incombente scarsità di salmone, fanno presagire una crisi per la “filiera del sushi”. Nel frattempo, se dobbiamo giudicare dalle ultime stagioni degli incendi, i lavoratori agricoli continueranno a raccogliere prodotti nell’aria satura di cenere, mietendo ancora una volta campi soffocati dal fumo.

Dalla gomma naturale ai fertilizzanti

Le reti commerciali globali, già sconvolte dalla pandemia, sono state colpite anche da condizioni meteorologiche estreme: nel luglio 2021 un violento tifone ha bloccato l’accesso ai porti della Cina orientale. Focolai di coronavirus in Vietnam e Bangladesh hanno causato la chiusura delle fabbriche.

Sembra imminente una scarsità di gomma naturale, visto che la Cina se la sta accaparrando per le proprie riserve nazionali, ma anche per via delle malattie fungine delle foglie nello Sri Lanka, e della siccità e delle inondazioni in Thailandia e Indonesia. Si registrano ritardi per le macchine agricole e per componenti essenziali come erpici, microchip, plastica, pallet e la schiuma necessaria per i sedili dei trattori. Il costo dell’acciaio ha subito un’impennata.

I prezzi dei fertilizzanti sono aumentati a causa delle tasse, dell’incremento dei costi dell’energia e del trasporto, e di una crescita della domanda in seguito al clima impazzito di alcune regioni. I ritardi nei porti hanno messo in ansia gli esportatori agricoli che temono che la frutta marcisca, e le compagnie aeree, per capitalizzare la congestione, stanno noleggiando aerei passeggeri per riempire i posti con merci di alto valore.

Decine di navi container sono rimaste ancorate al largo della costa della California meridionale, piene di merce d’importazione e in attesa di essere scaricate. In Asia il clima estremo e i focolai di covid continuano a provocare la chiusura di porti e aeroporti.

Dalla metà degli anni Duemila i terreni agricoli sono diventati appetibili asset class, per società di private equity e altri investitori istituzionali – tra i quali la società di assicurazioni e servizi finanziari Prudential e la banca Ubs – che acquistano proprietà agricole rappresentando così una minaccia per i giovani agricoltori che aspirano a possedere e coltivare le loro terre.

Essendo i terreni agricoli una risorsa finita, ci si aspetta che aumentino di valore nel tempo, specialmente in un contesto di popolazione in crescita con necessità sempre maggiori di alimenti, fibre e carburante.

Capitali agricoli

Nel suo libro Fields of gold: financing the global land rush (Cornell university press, 2020), Madeleine Fairbairn fa risalire l’attuale interesse finanziario per i terreni agricoli agli anni Ottanta del secolo scorso, quando i mercati dei derivati delle materie prime agricole sono stati deregolamentati e inondati di capitali; il collasso finanziario del 2008, insieme alla crisi alimentare dello stesso anno hanno rappresentato un «punto di svolta».

Fairbairn sostiene che questo fenomeno è «il risultato di un susseguirsi di cambiamenti, tra cui la gestione professionale delle aziende agricole, capacità acquisita in seguito a boom e fallimenti del passato, e la ricerca da parte degli investitori istituzionali di nuovi modi per impiegare i loro ingenti capitali»: se avete dei miliardi da proteggere, i terreni agricoli possono aiutarvi a stare al passo con l’inflazione.

Non per niente, nel 2020, prima del loro divorzio, Bill e Melinda Gates erano i più grandi proprietari privati di terreni agricoli del paese. I manager di fondi speculativi stanno puntando ai diritti idrici di Arizona e Colorado; il fondo di dotazione di Harvard, uno dei maggiori fondi universitari del mondo, ha investito in vigneti; esiste un mercato dei futures per l’acqua della California.

L’orizzonte temporale degli investimenti raramente viene tarato su scala ecologica. Salvo disastri o interventi governativi, l’agricoltura californiana rimarrà un settore appetibile per parcheggiare del capitale per qualche anno.

La copertina di The Passenger "California"

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