Non di solo true crime vive l’uomo. Il panorama contemporaneo è saturo di narrazioni su fatti di cronaca nera perché si tratta di un tema che attrae l’interesse del pubblico, sempre affascinato da storie di violenza su cui può esercitare, talvolta morbosamente, la propria curiosità.

C’è ovviamente modo e modo di affrontare argomenti così delicati, che prima di tutto risvegliano dolorosamente in sopravvissuti e famigliari fantasmi del passato, e non si può ignorare il valore di certe opere letterarie del presente (per esempio il lavoro di Silvia Cassioli con due libri pubblicati da Il Saggiatore, uno sul Mostro di Firenze e uno sulla vicenda intorno alla morte di Wilma Montesi) o la delicatezza di operazioni che hanno il rigore del giornalismo più autentico (il riferimento è, ovviamente, al podcast cult del Post Indagini, opera di Stefano Nazzi), ma il voyeurismo ha spesso il sopravvento e basta che un podcast rientri nella categoria “true crime” per avere successo e nutrire l’effimero interesse dei curiosi.

Ma c’è anche un altro elemento importante e riguarda quanto le persone coinvolte in questi drammi, che spesso perdono addirittura nome e cognome, le loro caratteristiche e la loro tridimensionalità, passino in secondo piano a favore del racconto della storia, delle ipotesi più fantasiose (soprattutto quando per i cosiddetti cold case) e delle congetture più o meno rispettose.

È anche per questo motivo che il libro di Giulia Cavaliere dedicato a Francesca Alinovi offre una prospettiva nuova, e per alcuni certamente del tutto inedita, su una donna associata per lo più a una violenta morte per omicidio, avvenuto a Bologna, nella sua casa in via del Riccio, nel giugno del 1983.

Condivisione

Cavaliere nel suo libro, Quel che piace a me (pubblicato da Electa nella bella collana Oilà, curata da Chiara Alessi, e dedicata a donne del Novecento che si sono distinte nell’ambito artistico), parla dell’assassinio di Alinovi solo nelle pagine finali, non rimestando nel torbido, ma anzi descrivendo con il suo stile rispettosamente immaginifico ciò che accadeva in quei giorni («una domenica sera di una settimana caldissima dell’estate bolognese in cui 1983 di Lucio Dalla è primo nella classifica italiana degli LP e in cui i ragazzi di Bologna che Luca Carboni avrebbe cantato un paio di anni dopo nel suo Solarium e Tondelli fatto vivere nella sua Rimini iniziano a imboccare auto e motorini per scivolare verso la riviera romagnola»), dedicando la parte più importante del suo testo al lavoro della docente del Dams, critica d’arte militante, icona di stile e indefessa scopritrice di talenti Francesca Alinovi.

Cavaliere inizia a raccontare la sua storia, che è la storia di una condivisione di sguardi e di una comunanza di visioni, dell’idea dell’arte come ibridazione, attraverso gli oggetti quotidiani che abitano la casa di Alinovi e da una sua fotografia che scatena l’interesse per la donna e la sua storia («era stato come se un minuscolo frammento di una certa postura nei confronti dell’universo intero mi avesse raggiunta e infuocata tramite questa piccola foto») e il desiderio di scoprirne la vita e un modo di fare critica che unisce il vecchio e il nuovo nutrendosi di un’insaziabile curiosità e mettendo al centro del discorso il proprio io.

Letteratura, musica, arte

Nata a Parma sul finire degli anni Quaranta e formatasi sotto l’egida di un maestro come Renato Barilli, Francesca Alinovi giovanissima inizia a insegnare nell’appena nato Dams bolognese dove la ragazza timida e riservata va pian piano aprendosi verso le manifestazioni contemporanee più interessanti. 

Sia attraverso una scrittura tempestosa e abbondante che si accorda al fervore artistico, sia trasformando essa stessa e la propria estetica in un segno in grado di testimoniare il tempo che vive, come dimostrano le sue foto con una capigliatura new wave che si spinge sempre più in alto, con i suoi capelli che richiamano il mito della cantante post-punk Siouxsie Sioux e che prendono la loro forma grazie alle forbici di Marco Zanardi e del suo salone in via Ugo Bassi “Oreamalià”, anch’esso opera d’arte, «frequentato da artisti, giornalisti, rock star, epicurei schiantati» come «un salotto, un piano bar, o un videogame, una disko o uno studio televisivo, o un loft newyorchese» come scrive Pier Vittorio Tondelli nel libro imprescindibile per comprendere quegli anni, Un weekend postmoderno.

Ma questo libro non è solo un racconto della vita e dell’opera di Francesca Alinovi, è anche un riuscito esercizio di scrittura di Giulia Cavaliere che ne fa un ritratto ovviamente parziale, come lo è la letteratura rispetto alla vita, ma che unisce con naturalezza letteratura, musica e arte, riuscendo nel tentativo di collegare l’esperienza di Alinovi ai tempi in cui viviamo, facendoci sentire vicina questa esistenza attraverso una serie di riferimenti, sogni e prospettive condivise.

Fuori dall’ombra

Grazie a questo libro (ma anche al documentario di Veronica Santi di qualche anno fa I am non alone anyway e l’antologia di scritti curata da Matteo Bergamini per postmedia books) la memoria di Francesca Alinovi esce dall’ombra della morte che ne continua ingiustamente a offuscare il ricordo, perché Quel che piace a me mostra anche come non sia possibile pensare la storia della critica d’arte italiana senza tenere conto del suo lavoro.

L’inseguimento di Alinovi dei movimenti più innovativi della Bologna degli anni Settanta e Ottanta, il lavoro teorico alla base del movimento dei Nuovi-Nuovi e quello di curatrice in Italia e all’estero, l’attenzione profetica per la New York dei graffiti di Keith Haring e una scrittura in cui corpo femminile e pensiero si mescolano ne fanno un perno imprescindibile per provare ad addentrarsi nei luoghi, ancora poco esplorati oltre la patina superficiale e il mero revival, dell’arte e della scrittura degli anni Ottanta italiani, del loro precipitato storico e politico che in questa esperienza tragicamente breve hanno trovato uno straordinario punto di sintesi.


Quel che piace a me. Francesca Alinovi (Electa 2025, pp. 96, euro 12) è un libro di Giulia Cavaliere 

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