Ho trentun’anni, il che significa che quasi tutte le mie amiche in questo momento sono gravide o programmano gravidanze o parlano di programmare gravidanze. La maternità (o il desiderio di maternità, o l’ipotesi di maternità, o l’ipotesi del desiderio di maternità) è un argomento caldissimo, per questo quando mi è arrivato il nuovo libro di Chiara Francini, Forte e chiara. Un’autobiografia, Rizzoli, ho pensato automaticamente «eccallà, l’autobiografia dolente della madre mancata».

L’ho pensato anche perché Francini durante lo scorso Sanremo, realizzando una delle tre cose belle di quel sequestro di persona che è stato il festival (le altre due non me le ricordo), si esibì con un monologo sulla maternità (o il desiderio della, o l’ipotesi di) che per chiunque lavori nell’editoria gridava “instant book”, cioè uno di quei libri che gli editori corrono a commissionare sull’onda di una cosa, anche breve, anche estemporanea, anche piccolissima, che funziona.

Non è dolente

E invece Forte e Chiara non è un memoir dolente (non lo era nemmeno il monologo, in effetti), ma un manuale di autostima. Francini non ci prova neanche a fare la piccola fiammiferaia, posa che a molti piace prendere nell’epoca in cui tutto è trauma e scoramento. Qui c’è zero trauma, zero scoramento. Che splendida novità. Francini si piace un casino, si ama tantissimo, e non intende fingere il contrario neanche per un secondo. Si piace talmente tanto che la modestia affettata a Sanremo era diventata una gag, lei, signorina di poche pretese che si rifiuta di separarsi dalla sua borsetta, anche sul palco dell’Ariston.

E in effetti, perché dovrebbe fingere, se non per creare un personaggio? Orgogliosa ragazza di provincia che si è fatta da sé, è cresciuta come voleva lei e si è comprata una casa e due divani costosi che nessuno ha mai visto: sono ricoperti di teli e plaid assortiti come i sofà incellofanati delle nonne, perché puoi togliere la ragazza da Campi Bisenzio ma non puoi togliere Campi Bisenzio dalla ragazza.

C’è un episodio di Sex and the City in cui Carrie va a una festa a casa di un’amica che chiede agli invitati di togliersi le scarpe e lasciarle all’ingresso perché il pavimento non va contaminato, i suoi bambini gattonano. Carrie riluttante si toglie le Manolo e quando torna a riprendersele a fine serata non ci sono più.

Chiede conto alla padrona di casa, che fa spallucce e infierisce su Carrie rimproverandole il costo esorbitante delle scarpe: non trova che sia immorale possedere calzature da 700 dollari?

Carrie torna a casa ciabattando con un paio di sneakers in prestito e nei giorni successivi, sentendosi discriminata in quanto single, si ingarella e fa il conto di tutti i soldi che ha speso negli anni per l’amica stronza (matrimonio, figli, un’infinità di regali, come sappiamo bene sempre noi di trentun’anni e dintorni) e decide di celebrare un matrimonio con se stessa. In lista nozze un solo regalo, le Manolo. Tra gli invitati una sola persona, l’amica stronza.

Una festa a forma di libro

Chiara Francini ha fatto un po’ questa cosa qui, ha fatto la sua festa a forma di libro, ha celebrato il matrimonio con se stessa in una raccolta di voci – la sua e quelle delle persone che le vogliono bene, che come in un matrimonio un po’ caciarone si alzano in piedi una dopo l’altra per raccontare aneddoti divertenti, lusinghieri e imbarazzanti sulla sposa – con la differenza che nessuno a lei ha chiesto di togliersi le scarpe o se l’hanno fatto lei comunque ha detto di no ed è andata dritta per la sua strada, la direttissima che collega la provincia toscana (che nei suoi ricordi prende dei tratti squisitamente vintage tanto che a un certo punto salta fuori un messo comunale e ci si immagina il Dopoguerra più che gli anni Ottanta) al successo.

Ha sempre fatto di testa sua Chiara Francini, lo racconta anche la mamma, personaggio spigoloso e amatissimo paragonato a Catone il Censore. È quella che è bona e non la dà, che vuole la carta da parati nella lettiera del gatto, che si ostina a chiamare “schiacciata” la pizza bianca nei forni romani (e sopravvive!), che si esibisce nella coreografia di Dirty Dancing con un ragazzo appena conosciuto, rischiando di morire defenestrata per il gusto di una presa fatta come si deve. È quella che alla fine arriva sempre dove voleva arrivare, godendosi tutto quello che incontra nel mezzo. Perché nessuno mette Francini in un angolo.

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