La sera di lunedì 19 luglio 2010 un’ondata di piena scese lungo il fiume Yangtze. Le piogge intense del monsone dell’Asia orientale avevano colpito il sud-ovest della Cina. L’acqua si riversava dal cielo. Quando il lunedì si trasformò in martedì, l’inondazione arrivò con un ruggito: ogni secondo passarono settantamila metri cubi d’acqua, equivalenti a trenta piscine olimpiche.

In passato, l’acqua si sarebbe raccolta nel fiume, sgorgando tra le sponde rocciose di Tre gole tagliate al centro del ramo principale, a monte della città di Yichang. Il fiume in piena avrebbe poi scavalcato gli argini, inondando le pianure a valle. Quella notte, invece, la corrente scivolò dolcemente in un ampio lago vicino alla città di Chongqing, molto al di sopra di quelle Tre gole, defluendo mentre il picco dell’inondazione scemava.

La diga

Seicento chilometri a valle, il livello dell’acqua nell’invaso crebbe di quattro metri, trattenuto da 28 milioni di metri cubi di cemento. Non successe altro. La diga delle Tre gole aveva superato la sua prima vera prova. Il progetto per costruire la più grande diga del mondo in Cina era stato approvato nel 1992, quando il premier cinese era Li Peng.

Non era stata una decisione priva di polemiche. Li Peng era un ingegnere idroelettrico che aveva studiato in Unione sovietica. Aveva insistito perché il progetto ottenesse il via libera malgrado le preoccupazioni per il trasferimento di un milione e mezzo di persone, nonché per la perdita di ecosistemi e manufatti storici.

Alla fine, la maggioranza del Congresso nazionale dei rappresentanti del popolo votò a favore della costruzione. I lavori cominciarono nel 1994. Nove anni più tardi iniziò il riempimento del bacino, in anticipo sui piani e nel rispetto del budget previsto.

Infrastrutture

La storia di come e perché questa enorme infrastruttura è stata realizzata è nota. Il progetto modernista del XX secolo prevedeva di liberare la società da un clima variabile, celebrando la vittoria definitiva dell’uomo nella sua conquista della natura.

Oggi tutti operano nell’illusione che l’acqua che fa parte del paesaggio sia, o dovrebbe essere, nient’altro che uno sfondo inerte sul palcoscenico degli eventi umani. Questa illusione si mantiene grazie alle 45mila strutture alte più di quindici metri che bloccano i fiumi del mondo, un numero che arriva a diversi milioni se si contano tutti gli sbarramenti che ingombrano i corsi d’acqua.

Una tale quantità di infrastrutture è in grado di intercettare all’incirca il 20 per cento del deflusso superficiale annuale mondiale, vale a dire l’acqua che si raccoglie in fiumi e corsi d’acqua in ogni paese. Le infrastrutture idriche moderne hanno completamente trasformato l’impianto idraulico del pianeta. La diga delle Tre gole è una delle ultime di questo ampio patrimonio, a riprova del fatto che questa moderna storia di progresso deve ancora compiersi pienamente.

Progresso e crollo

Gli entusiasti della tecnologia festeggiano la diga come un successo, mentre gli ambientalisti ne criticano l’impatto. Comunque la si veda, è intesa come la storia di un’emancipazione tecnologica dalla natura, dove la scienza e l’ingegneria hanno dato all’umanità, nella buona e nella cattiva sorte, il pieno controllo sul proprio destino.

Questa è una storia nota. Ma è anche sbagliata. La storia dell’acqua non è tecnologica, ma politica. L’impatto dell’acqua sulla società deve essere letto attraverso le cicatrici lasciate da un ciclo continuo di adattamento. Nel tempo, ogni comunità si rapporta con l’acqua attraverso un processo di azione e reazione. Un argine artificiale protegge le 0persone che ci abitano dietro.

Una diga immagazzina l’acqua per quei periodi in cui non ne scende dal cielo. Mentre le città crescono e le fattorie si espandono, le persone dimenticano perché quelle strutture furono costruite in prima istanza. La società si evolve e si abitua alla sua nuova sicurezza. Le istituzioni si sviluppano all’ombra di un’infrastruttura progettata per creare un’illusione di stabilità.

Poi un giorno, inaspettatamente, l’argine cede o l’invaso dietro alla diga si prosciuga. Ne consegue una perdita, a volte catastrofica. Gli uomini sono costretti a riconsiderare il proprio ambiente non più come lo scenario inerte della loro vita. Imparano, ricostruiscono, si espandono, raggiungendo un nuovo livello di sicurezza. Le istituzioni si adeguano, le abitudini cambiano. Il ciclo si ripete.

L’acqua e le istituzioni

Il progresso tecnologico e l’emancipazione dalla natura sono un tema secondario in questa storia. Gli effetti della relazione continuativa dell’umanità con l’acqua non sono scritti semplicemente nei fiumi. Sono incisi nel tessuto della società, nelle credenze, nei comportamenti e nei sistemi che regolano la vita quotidiana. Ciò che viene manipolato non è il paesaggio, ma le istituzioni politiche.

L’argomento centrale del libro che ho scritto per Mondadori, Acqua, una biografia, è che i tentativi di organizzare una società circondata dall’acqua in movimento hanno prodotto istituzioni che legano insieme gli individui in un rapporto di reciproca dipendenza nel tentativo di gestire il proprio ambiente. Da innumerevoli variazioni nel corso dei secoli, la repubblica è emersa come il meccanismo più efficace per mediare tra le moderne preoccupazioni per la libertà individuale e il beneficio collettivo, a fronte della forza devastante dell’acqua.

Questa non è una posizione strettamente deterministica: l’acqua da sola non avrebbe mai potuto «determinare» la forma delle istituzioni politiche. Ciononostante, le istituzioni emersero, almeno in parte, perché la società potesse esprimere la propria capacità di agire su un ambiente mutevole.

Regolare un bene pubblico

In quel senso, il cuore della storia dell’acqua è una risposta politica a condizioni materiali. Viste attraverso questa lente, le radici del rapporto con l’acqua della società moderna risalgono a molto indietro nel tempo. Questa storia inizia quando, 10mila anni fa, gli esseri umani fecero un passo cruciale: divennero sedentari.

In quel momento, l’Homo sapiens era già sul pianeta da 300mila anni, ma, da un punto di osservazione fisso, la potenza dell’acqua divenne travolgente. Le siccità interferivano con la produzione del cibo. I temporali interrompevano le vite delle persone. Le inondazioni distruggevano le comunità. A causa della forza dell’acqua, il controllo individuale dell’ambiente era impossibile. La società nel suo complesso avrebbe dovuto imparare a esercitare il proprio potere. Nel corso della storia dell’uomo, la vita sul paesaggio acquatico portò a stringere un contratto sociale.

L’acqua è res publica – un bene pubblico –, una sostanza in movimento e priva di forma che sfida la proprietà privata; è difficile da contenere e richiede una gestione collettiva. Gli esseri umani crearono istituzioni che richiedevano una mediazione tra desideri individuali e azione collettiva, a fronte della forza dell’acqua. Quelle istituzioni finirono per diventare dominanti in tutto il mondo moderno.

Sistemi legali e politici, lo stato-nazione territoriale, la finanza, un sistema di commercio: tutto si evolvette nell’arco di migliaia di anni, mentre le comunità cercavano di assicurarsi di poter sopravvivere alla forza dell’acqua, perfino di imbrigliarla al servizio del bene comune. Senza comprendere da dove venissero quelle idee, e come il loro sviluppo si rapportasse all’acqua, oggi è impossibile capire come e perché il paesaggio abbia acquisito il proprio attuale aspetto.


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