Man mano che le cucine provenienti dall’Asia si diffondono maggiormente anche in Italia, si ripresenta anche da noi, come negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Francia o in qualunque paese che si sia svegliato prima dell’Italia ai sapori provenienti da Est, un mistero linguistico: per qualche motivo, i cibi nati in Cina ma diffusisi in tutta l’Asia orientale giungono a noi con il loro nome giapponese. Per esempio: se diciamo umami si sa a cosa facciamo riferimento. Se dicessimo xianwei, equivalente mandarino dalla storia più antica, dovremmo spiegare che cosa abbiamo detto. Con il seitan è ancora più curioso: è un cibo la cui origine, in Cina, si perde nelle nebbie della storia culinaria, dove si chiama mianjin o più spesso kaufu (haaufu in cantonese), eppure oggi che tutti i supermercati italiani hanno per lo meno un tipo di questa proteina derivante dal grano, è chiamata con il nome giapponese, cioè seitan. Ancora più curioso: in Giappone si dice seitan appena dagli anni Sessanta, quando l’inventore della macrobiotica, Georges Ohsawa (pseudonimo di Sakurazawa Yukikazu, vissuto dal 1893 al 1966), gli diede questo nome, con cui fu esportato. Il cibo in questione esisteva già, e in Giappone veniva chiamato solo fu, per quanto fosse consumato in due forme diverse, nama fu oppure yaki fu, ovvero seitan “crudo” (o fresco) e seitan grigliato e poi fatto essiccare. Seitan significa “proteina pura”, dal momento che Ohsawa era interessato alle proprietà nutritive del cibo, e quindi si concentrava sulle loro componenti e il loro valore nutrizionale, anche nei nomi che dava ai piatti.

Un impasto, un lavaggio, una trasformazione

Il seitan è infatti la proteina del grano dopo che ne è stato eliminato il resto: per ottenerlo si impasta farina ed acqua fino ad ottenere un composto compatto (quando impastiamo per fare il pane, non a caso, quello che stiamo facendo è sviluppare il glutine, che terrà insieme la nostra pagnotta) che viene poi sciacquato in acqua finché non rimane una sostanza abbastanza spugnosa ed elastica. Il glutine.

Queste masse morbide sono poi preparate in vari modi a seconda delle diverse tradizioni: la più diffusa prevede che vengano legate con uno spago, e immerse a bollire in un brodo saporito. Il risultato è un panetto compatto, un po’ traslucido all’esterno, molto spugnoso all’interno, e un aspetto che ricorda una mollica ariosa, fatta apposta per assorbire ogni tipo di sapori. Senza sottovalutare la sua piacevole mastichevolezza (rendiamo così quella “sensazione in bocca”, ovvero, l’attenzione alla consistenza, che è fra i principi base del piacere della cucina in molti paesi dell’Est). Se questa descrizione non vi sembra affine a quello che si trova nei supermercati italiani, non c’è da stupirsene: il seitan che si trova sui nostri scaffali è effettivamente molto più duro e un po’ più restio ad assorbire sapori. Probabilmente, trattandosi di un alimento ancora poco italiano, subisce lo stesso trattamento del tofu – una lunga pressa per eliminare quanti più liquidi possibile, rendendolo più longevo. Anche da più duretto è versatile, e molti dei prodotti vegani confezionati a imitazione della carne sono fatti di seitan, a cui è facile impartire profumazioni vegetali spesso impiegate per condire arrosti o straccetti di pollo (tipo aglio, salvia e rosmarino).

Una proteina, molte culture

Per provare un seitan più vicino a quello consumato in Asia bisogna recarsi nei supermercati asiatici e chiedere per l’appunto del kaofu.

E’ un alimento altamente proteico – essendo, come diceva Ohsawa, proteina pura, contiene infatti 25 grammi di proteine per ogni 100 grammi di prodotto, paragonabile al pollo o al manzo, e fornendo una perfetta risposta all’eterno quesito diretto ai vegani “ma da dove prendi le proteine”.

Come molti altri alimenti proteici a base di piante, come la soia e i suoi derivati, è un ingrediente molto comune nella cucina dei templi buddisti di tradizione mahayana, diffusa in Vietnam, Cina, Taiwan, Corea e Giappone – e qui, il seitan si declina secondo tutte le varie particolarità culinarie dei paesi e delle regioni a cui corrisponde.

A Hong Kong e nella regione del Guangdong esiste un intero tipo di cucina che viene chiamato bouzai, che letteralmente significa “casseruole di terracotta”, dove si fa ampio uso di glutine. Viene stufato a fuoco lento per circa un’ora dentro queste speciali casseruole in terracotta, insieme a varie salse e verdure, fra le quali non mancano mai i profumatissimi funghi shitake (un’altra parola che conosciamo nella sua versione giapponese, anche se in mandarino sono chiamati xianggu). Dopo la lenta cottura il glutine è tenerissimo e molto, molto saporito – mantenendo del tutto intatte le sue proprietà proteiche. Chi non volesse impegnarsi in una preparazione relativamente lunga può recarsi nei “ristoranti delle casseruole di terracotta” (clay-pot restaurants o bouzaikee), in cui vengono servite piccole casseruole individuali con dentro il glutine stufato lentamente insieme alle verdure, o anche insieme a carne o tofu. Un piatto molto tipico di Hong Kong mette nella casseruolina prima un letto di riso, che viene fatto stufare con tutti gli altri ingredienti sopra, rendendo il tutto molto gustoso. Al nord invece è frequente trovare il seitan in vendita fritto in piccoli pezzetti, nel qual caso si chiama youmianjin. Sono palline un po’ unte (vanno sciacquate in acqua calda prima di cucinarle) molto ariose che si aggiungono a zuppe o stufati e sono assolutamente deliziose – soffici ma consistenti, e di nuovo arricchite di tutti i sapori nei quali sono state preparate. Infine, in tantissimi ristoranti in Cina può capitare di vedersi offrire come antipasto gratuito un ciotolino di seitan freddo, cotto nella salsa di soia, insieme a delle arachidi saltate e salate e pezzetti di funghi muer.

E’ una proteina versatile, che si presta anche a preparazioni non ortodosse (cuocerlo in padella con pomodori freschi, spezie e un po’ d’acqua fino ad assorbimento lo rende molto goloso, tenero e perfettamente proteico) e che merita di essere conosciuta anche nella sua versione asiatica, più soffice. A meno di essere intolleranti al glutine, nel qual caso le proteine vegetali vanno cercate altrove.


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