Nel 2017 alcuni grandi marchi della moda francese hanno bandito dalle passerelle le modelle troppo magre. L’anno successivo, Victoria’s Secret ha deciso di cancellare il celebre evento “Victoria’s Secret fashion show” dopo le numerose critiche per la mancanza di diversità e la riproposizione di canoni di bellezza – e magrezza – idealizzati e irraggiungibili. Nel frattempo, alcune aziende hanno adottato nuove strategie di marketing: dai manichini con fisicità differenti nel negozio Nike di Oxford Street a Londra, alla campagna “Sweet summer escape” di H&M, che mostrava corpi reali, non per forza scolpiti, senza ritocchi fotografici. Non più solo modelle alte 180 cm, taglia 36 e senza un filo di cellulite, ma persone vere.

Il movimento che ha portato agli ideali della body positivity per come è conosciuta oggi ha origine alla fine degli anni Sessanta, con la nascita a New York della “National association to aid fat Americans”, poi nota come “National association to advance fat acceptance”, un’organizzazione impegnata a contrastare le discriminazioni basate sul fisico. Quei valori, però, non sono rimasti confinati a New York: nello stesso periodo si diffondevano anche altrove, dalle femministe californiane che denunciavano i messaggi legati alla diet culture alle femministe del “London fat women’s group” nato a metà degli anni Ottanta a Londra e rimasto attivo per anni. Con l’arrivo di internet, l’attivismo ha assunto anche una forma digitale e i social hanno contribuito a diffondere i valori dell’accettazione, della diversità, dell’amore per sé stesse e per il proprio corpo.

Dopo anni di denunce e proteste, sembrava che l’equazione magrezza uguale bellezza fosse superata, sostituita da ideali più sani e inclusivi. Si credeva che non esistesse più un modello unico e idealizzato imposto dalla società, ma che fosse ormai diffusa la consapevolezza che ogni corpo è diverso e, proprio per questo, unico. Eppure, quegli ideali che si pensavano acquisiti oggi appaiono fragili: i progressi degli ultimi decenni sembrano non essere davvero stati interiorizzati, o almeno non da tutti.

Le almond mom

Basta cercare “#skinny” su TikTok perché l’algoritmo faccia il resto: decine di video con adolescenti che si pesano, piatti semivuoti, diete fai-da-te e contenuti come «vi porto con me in una giornata di dieta oltretutto con pranzo dalla nonna». Secondo uno studio pubblicato sul giornale Public health nutrition nel 2024, su TikTok più della metà dei video analizzati conteneva forme di body checking, cioè di controllo ossessivo del peso o della forma del proprio fisico. Inoltre, «tra i video che trattavano dell’immagine corporea, quasi la metà presentava una visione negativa del corpo».

Bastano dieci minuti sui social per capire che l’ideale della magrezza non è affatto superato: né online, né nella vita reale. E questo anche a causa dei modelli di riferimento. «Ho chiesto a mia mamma qualcosa di dolce dopo il pranzo, e lei mi ha dato i pinoli. Questo riassume il tipo di vita in cui sono stata cresciuta», ha raccontato una ragazza su TikTok, mostrando un sacchetto pieno di pinoli. La sua è quella che su TikTok viene chiamata “almond mom”. Come ha spiegato un’altra ragazza, si tratta di «una mamma un po’ ossessionata da tutto quello che riguarda il benessere, soprattutto nel cibo»: un genitore iper controllante, fissato con la salute e la magrezza sua e dei suoi figli, tanto da trasmettere anche convinzioni con poche o nessuna base scientifica, come quella secondo cui si dovrebbero saltare i pasti, mangiando solo quando si ha fame. Ad esempio, in un video una almond mom spiega di non avere mai appetito e quindi di pranzare solo con un pezzetto di pane e due fettine di prosciutto. «Se non avete fame perché mangiate?» chiede lei alla figlia e al marito.

L’espressione “almond mom” non è recente. Circola in rete da qualche anno ed è nata da un video in cui l’ex modella Yolanda Hadid diceva a una delle figlie di mangiare «qualche mandorla e masticarla molto bene» per placare la fame. Dopo che il video è diventato virale molte utenti hanno iniziato a condividere le loro esperienze parlando del rigore insegnato dalle proprie mamme in relazione al cibo, altre hanno raccontato di divieti e ristrettezze, altre ancora hanno usato il video di Hadid come pretesto per creare trend ironici.

Corpi magri in passerella

I passi indietro non si vedono solo sui social o nella vita quotidiana, ma anche nel mondo della moda, che ha ripreso a proporre ideali estetici rigidi. Sulle passerelle sono tornati i corpi esili: gambe lunghissime, vite sottili, schiene ossute. Al contrario, sono scomparse – quasi del tutto – le rappresentazioni di tutti gli altri corpi, quelli che non corrispondono all’altezza di 180 cm e alla taglia 36.

Ma non è solo un’impressione, è un fenomeno reale e quantificato. Secondo il rapporto di Vogue Business relativo al 2025, che fotografa l’inclusività delle taglie sulle passerelle, c’è stato «un ulteriore calo nella rappresentazione di modelle di taglia media e plus-size nelle sfilate di New York, Londra, Milano e Parigi» nell’ultima stagione autunno-inverno. Dei 8.703 look presentati in 198 sfilate e presentazioni, il 97,7 per cento era taglia standard, il 2 per cento taglia media e solo lo 0,3 per cento plus-size. Nessuna modella plus-size ha sfilato alla Milano fashion week, dove appena lo 0,9 per cento dei look era indossato da donne con una taglia media.

Così tornano le modelle magre, i fisici asciutti, le diete rigide. Tornano gli stessi modelli e ideali che la società negli scorsi decenni aveva provato a mettere in discussione. E il ritorno c’è stato anche in Victoria’s Secret che nel 2024 ha riportato in scena il suo “fashion show” con il solito format: gambe chilometriche e punti vita invisibili. A nulla sono valse le critiche e gli anni di pausa.

Tra consapevolezze e vecchi ideali

Da un lato ci sono gli ideali maturati in decenni di attivismo e sensibilizzazione sul tema della body positivity. Dall’altro, corpi magrissimi continuano a essere proposti come unico modello di bellezza, alimentando narrazioni – sui social e altrove – secondo cui esistono corpi di serie A e corpi di serie B. A più di cinquant’anni dalle prime rivendicazioni, la speranza che la body positivity fosse diventata parte integrante della cultura di tutte e tutti si scontra con una realtà complessa: tante persone – soprattutto ragazze – vivono ancora un rapporto difficile con il proprio corpo, in un contesto che continua a proporre modelli irraggiungibili.

Nel mezzo ci sono loro: le ragazze di oggi, divise tra i valori dell’accettazione e i modelli tossici veicolati dai social, dalle passerelle, e spesso anche all’interno delle mura domestiche. Ed è proprio lì, nella quotidianità e nei modelli familiari, che può iniziare un cambiamento che non sia solo superficiale, ma che porti a capire davvero l’importanza di amare sé stesse e il proprio corpo.


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