Una delle prime espressioni della perplessità e del disagio che l’uomo moderno sente nei confronti della tecnologia si trova in questo brano del romanzo Orlando (1928) di Virginia Woolf: «Entrò nell’ascensore, per il semplice motivo che la porta era aperta, e venne gentilmente sollevata. La magia è la vera sostanza della vita odierna, pensò mentre saliva. Nel Settecento, di qualunque cosa sapevamo com’era fatta. Ora invece io mi libro nell’aria, ascolto le voci dell’America, vedo uomini volare, ma non posso nemmeno immaginare come tutto questo viene fatto. E così torno a credere nella magia». È passato un secolo, ma la maggior parte di noi continua a non avere idea di come funzionino l’ascensore, la radio e l’aeroplano: figuriamoci il resto della tecnologia contemporanea, la cui comprensione richiederebbe una ferrata conoscenza di fisica, chimica, biologia e informatica.

Poiché nessuno padroneggia l’enorme sapere che si nasconde dietro tutti gli aggeggi che usiamo quotidianamente, hanno avuto facile gioco gli scrittori di fantascienza come Isaac Asimov o Arthur Clarke a ripetere, in Fondazione e impero (1952) e Profili del futuro (1973): «Il pubblico disinformato tende a confondere la tecnica con la magia», e «ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia».

No-vax di tutti i tempi

Il ritorno al pensiero magico causato dall’ignoranza scientifica è uno dei sintomi del nostro regresso allo stato di «selvaggi che vivono in un villaggio globale», come scrisse Marshall McLuhan nel 1973. E i moderni selvaggi non possono che comportarsi come quelli antichi, accontentandosi di attribuire cause infantili e superstiziose agli effetti tecnologici che non comprendono: di qui il monopolio della gestione della vita politica, sociale e culturale affidato a operatori scientificamente ignoranti, da una popolazione altrettanto ignorante e nella quale ormai dilagano luddismo, complottismo e negazionismo scientifici.

Uno degli aspetti più evidenti di questo regresso al selvaggio e al magico è il movimento No-vax, sfruttato politicamente dai partiti che si indirizzano agli elettori meno attrezzati culturalmente, dispersi in uno spettro che va perlopiù da Fratelli d’Italia ai Cinque stelle, ma si estende oltre: nessuno ha il monopolio dell’ignoranza.

La cosa è paradossale, perché se c’è un campo in cui si era partiti da osservazioni aneddotiche e sperimentazioni azzardate, e si è ormai arrivati a pianificazioni mirate e risultati straordinari, è proprio quello dei vaccini. Come ricorda il nome, il primo vaccino fu ottenuto dalle vacche malate di vaiolo bovino. Il medico inglese Edward Jenner aveva notato che le mungitrici che contraevano questa forma di vaiolo animale non si ammalavano del più maligno vaiolo umano: nel 1796 inoculò in un bambino del pus estratto da una pustola di una vacca infetta, e lo rese effettivamente immune al vaiolo umano. Da allora molti vaccini sono stati ottenuti dopo una lunga serie di tentativi ed errori, sperimentando l’uso di virus attenuati o inattivati, e grazie alla vaccinazione di massa si sono debellate malattie come poliomielite e febbre gialla.

Dagli inizi, però, ai vaccini si sono opposti gli antesignani degli odierni No-vax, con le motivazioni più disparate: ad esempio, che non si deve contaminare la purezza della specie umana con materiale animale, o interferire nella pianificazione divina con prevenzioni diaboliche.

La prima sollevazione popolare si ebbe nel 1853, quando in Inghilterra si introdusse la vaccinazione obbligatoria infantile contro il vaiolo, e le reazioni hanno in seguito preso le forme più assurde: dalla medicina antroposofica fondata nel 1910 dall’esoterista Rudolf Steiner, secondo il quale la vaccinazione infantile impedisce ai bambini l’esperienza formativa delle malattie infantili, al fraudolento articolo pubblicato dal medico Andrew Wakefield nel 1998, fonte delle fake news sull’autismo causato dal trivaccino (morbillo, parotite e rosolia).

I selvaggi No-vax alzano i loro scudi a difesa di un’oscurantista visione della medicina moderna, che essi percepiscono come una magia nera: magia, perché la trovano incomprensibile, e nera, perché la credono dannosa. E non è facile, in effetti, cercare di spiegare come funzionino i vaccini: soprattutto quello che dovrebbe e potrebbe immunizzarci dal Covid-19, prodotto a tempo di record in meno di un anno e appena approvato per l’uso. Si tratta di una meraviglia scientifica, che probabilmente frutterà un premio Nobel per la chimica o la medicina ai suoi inventori: per la prima volta, infatti, un vaccino non è stato ottenuto dalla manipolazione di organismi naturali preesistenti, ed è stato invece programmato teoricamente e prodotto sinteticamente, sulla base della biologia molecolare nata negli anni Cinquanta, quando James Watson e Francis Crick scoprirono la struttura a doppia elica del dna.

La nostra enciclopedia

Oggi sappiamo che nel nucleo di ogni cellula di un organismo c’è una grande enciclopedia, chiamata genoma, che contiene il programma completo dell’organismo stesso. Il dna è il supporto su cui è scritta l’enciclopedia, suddivisa in un numero variabile di volumi chiamati cromosomi: l’uomo ne ha 23. Di ogni volume ci sono due copie identiche, salvo errori di stampa, e ciascuno contiene centinaia o migliaia di capitoli, i geni. La lingua in cui l’enciclopedia è scritta consiste di parole di tre lettere, chiamate codoni, tratte da un alfabeto di quattro lettere, le basi o nucleotidi, che sono A, C, G e T. Come le parole corrispondono alle cose, nel linguaggio genetico i codoni corrispondono agli amminoacidi, che costituiscono i mattoni di cui sono fatte le proteine. Ma i codoni sono 64 e gli amminoacidi solo 20: dunque, alcuni codoni sono sinonimi e corrispondono allo stesso amminoacido, mentre tre di essi hanno la stessa funzione del punto finale di una frase.

Come parole sinonime indicano la stessa cosa, ma con sfumature diverse, lo stesso fanno i codoni sinonimi con gli amminoacidi corrispondenti. Il passaggio dal dna alle proteine avviene all’interno delle cellule, in due passi. Il primo traduce la descrizione robusta e statica del dna in una nuova descrizione fragile ma versatile, chiamata rna, anch’essa consistente di codoni scritti in un alfabeto di quattro lettere: le stesse del dna, ma con una U al posto della T.

Il secondo passo costruisce le proteine a partire dall’informazione racchiusa nei codoni, mediante una specie di stampante 3D chiamata ribosoma, e a seconda dei casi le mantiene nella cellula o le espelle. Le cellule hanno sviluppato un sistema di difesa che impedisce loro di produrre proteine sulla base di rna estraneo: in teoria, un virus a rna non dovrebbe essere in grado, una volta inseritosi nella cellula, di autoriprodursi impunemente sfruttando il meccanismo cellulare. Ma molti virus a rna hanno a loro volta sviluppato un controsistema che aggira la difesa: quando entrano in una cellula vengono riprodotti ed espulsi, e vanno a far danni ad altre cellule, in una reazione a catena che può avere conseguenze letali.

Il sistema di difesa immunitaria è in grado di bloccare la reazione per i virus che riconosce come estranei, usando gli anticorpi che già possiede, ma è impotente verso quelli che non conosce, e cerca di svilupparne di specifici: se lo fa più velocemente di quanto si replichi, il virus vince, e se no, soccombe. La pericolosità del SARS-CoV-2 che causa il Covid-19 sta appunto nel fatto di essere un virus a rna che aggira sia il meccanismo di difesa delle cellule che il sistema immunitario dell’organismo. Per sviluppare un vaccino contro Covid-19, l’idea è iniettare frammenti del suo rna contenenti solo l’informazione genetica per riprodurre pezzi delle punte dell’involucro del virus stesso, che somiglia a un riccio: in tal caso le cellule riprodurrebbero solo una parte innocua del virus, in grado però di causare la reazione immunitaria dell’organismo e provocare la produzione di anticorpi.

Punte e pseudo-punte

Il primo problema è che dei geni isolati del virus non sono in grado di disattivare da soli il sistema di difesa delle cellule contro il rna estraneo, e le proteine corrispondenti non verrebbero prodotte. La soluzione è stata trovata nel 1995 dall’ungherese Katalin Karikó: consiste nel sostituire la U del frammento di rna con una miracolosa pseudo-U, sufficientemente diversa dalla U da impedire alla cellula di riconoscere il frammento come rna, ma sufficientemente simile da permettere al ribosoma di riconoscerlo come pseudo-rna, e costruire le proteine necessarie per riprodurre pezzi di pseudo-punte dell’involucro del virus.

Il secondo problema è che le punte dell’involucro del virus costruite sulla base del suo rna sono ritte come spine di riccio, mentre le pseudo-punte si afflosciano, senza l’involucro: gli anticorpi sviluppati per le pseudo-punte non sarebbero efficaci contro il vero virus.

La soluzione è stata trovata nel 2017 dal McLellan Lab dell’Università del Texas: sostituire i codoni corrispondenti a due amminoacidi (lisina e valina) con un codone corrispondente a un altro (prolina); essendo più rigido, mantiene le pseudo-punte ritte.

Le cose sono più complicate, ma non così tanto da aver richiesto più di anno per un vaccino che salverà la vita a milioni di noi: pure ai selvaggi No-vax che beneficeranno indegnamente dell’immunità di gregge.

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