Che allegria vedere trionfare a Sanremo due maschi così diversi, così ben vestiti, così bravi, che si cantano l’un l’altro un amore fragile, incantato, emotivo; maschile appunto («a volte non so esprimermi / e ti vorrei amare, ma sbaglio sempre»).

Mahmood e Blanco hanno esibito, con rilassata naturalezza e un pathos da ballata classica, uno straniante eppure familiare inventario di cose da maschi: dall’abbraccio sospeso tra lotta e tenerezza a una reinvenzione del reggicalze che, fino a pochi decenni fa, era in effetti tipico dei più tradizionali guardaroba virili.

Molte e molti (persino mia madre) mi hanno scritto questa settimana per segnalarmi brani di festival in cui l’espressione del maschile ha trovato, senza poi grandi clamori, forme che parevano inadatte a un grande pubblico di massa nazional-popolare – e anche per condividere la frustrazione per noiose scivolate paternali e vetero-machiste che, invece, si ripetono identiche (magari pensandosi argutamente provocatorie) da quel dì, e su cui non c’è bisogno che mi pronunci.

Mi pare dunque che questo nostro spazio di ragionamento plurale sui maschi, e sui loro oggetti, concetti e sentimenti, abbia ragione di esistere, e che valga la pena tenerlo vivo senza perdere neanche una settimana.

Confesserò tuttavia che in questo periodo sono particolarmente sommerso (come immagino lo siate voialtri che leggete o vi preparate a scrivere per Cose da maschi) da incombenze e piccole disgrazie da inizio d’anno. E dunque non mi dilungo come al solito nella newsletter, arrivando al punto e lasciando poi ai pezzi il compito di espandere il nostro scandaglio della “metà del cielo” che è sempre stata raccontata come nota, data, ovvia, standard.

L’articolo ospite di questa settimana (lo trovate qui su Domani) è un bellissimo, chiaro ed erudito ragionamento sull’amicizia maschile. Appaia Harry e Ron a Platone e Aristotele; Toy Story al Filostrato di Boccaccio. Lo ha scritto un dottorando in letteratura italiana della Sapienza di Roma, che ho conosciuto assieme alla sua relatrice (Monica Cristina Storini, pioniera degli studi di genere nelle nostre Lettere) e al suo piccolo ed educato cagnolino in un bar vicino alla città universitaria.

Si chiama Giacomo di Muccio, e ha i capelli verde acqua. La sua prosa è acuta, simpatica senza essere piaciona, lineare e informata da alcuni cruciali testi come La pensée straight di Monique Wittig.

Adoperando con la stessa levità Buzz Lightyear e Raffaello, Giacomo cerca di porci una serie di domande di là dai tempi e dai media: perché immaginiamo di dover avere un amico del cuore? perché uno solo, e non tanti? che ruolo hanno le donne nell’economia di questa omosocialità? e che differenza c’è tra il migliore amico e il peggior nemico?

Ho amato molto leggere questa sua disamina così complessa eppure semplice di un topos culturale che, avendo sempre avuto tante amiche, mi ha a lungo incuriosito. Sono certo che lo apprezzerete anche voi.

Dal canto mio, ispirato soprattutto dalle opere del nostro Didier Falzone (che anche oggi ci regala un collage originale, dagli incredibili dettagli compositivi), ho scritto una cicalata su quei brani di tessuto che non sono né cravatte né foulard – i due poli, tradizionalmente da maschi e da femmine, che mi paiono delimitare lo spettro di genere degli accessori di seta e di fine cotone, o lino, senza particolari funzioni.

Vorrei chiamarli fazzoletti, o sciarpine, o handkerchief da taschino. Il loro statuto ha cominciato a impensierirmi mentre traducevo un lungo testo di Pasolini sulla pittura di Guttuso, in cui il poeta descrive gli operai dipinti dal pittore usando, a ogni piè sospinto, parole italiane per descriverne fazzolettoni, bandane e altri utili cenci – parole che mi hanno fatto dannare, perché non trovavo corrispettivi diretti in inglese.

Ragionavo anche su come il più ovviamente maschile dei cinque protagonisti di Scooby Doo (un uomo e una donna assai standard, un uomo e una donna assai strambi, e un cane) porti al collo un fazzoletto rosso che forse allude a quello rassicurante dei boy-scout, forse a quello avventuroso dei cowboy, forse a quello minaccioso e perturbante di banditi e pirati – ma certo non è una semplice sciarpa, o cravatta, o farfalla.

Né gli operai di Guttuso né i personaggi di Scooby Doo sono poi finiti nell’articolo, che trovate qui. Ma ci sono finiti i protagonisti maschili di House of Gucci, un film che mi sembra non sia piaciuto a nessuno ma che io ho amato molto, nonché il Jack Sparrow di Johnny Depp, i fazzoletti di mio padre, la leggenda da sussidiario di Arlecchino e le idee di Alessandro Michele.

© Riproduzione riservata