La denuncia della degenerazione del ruolo politico degli intellettuali ha ormai creato un genere letterario a sé. Ma a differenza di altri luoghi comuni, questo indica un fenomeno reale. Il libro di Giorgio Caravale, Senza intellettuali. Politica e cultura in Italia negli ultimi trent’anni (Laterza, 2023) ricostruisce abilmente la fenomenologia sparpagliata di una figura che una volta godeva di stima condivisa e che ora si presta a giochi politici di bassa lega o, sdegnosa, se ne sta nella propria vita accademicamente distaccata.

Quando si parla del rapporto tra politica e intellettuali si è soliti pensare all’intellettuale organico di gramsciana memoria. Ma oltre al rapporto di sintesi e articolazione del partito rispetto alle masse, l’intellettuale (per lo più di sinistra) ha conosciuto anche figure di grande indipendenza, pur rimanendo vicine all’area del Pci o del Psi. A sinistra, questa dialettica di organicità o indipendenza si è polverizzata negli anni ’90 con una politica a tratti insofferente verso le pretese degli intellettuali (D’Alema) o a tratti smaniosa di riceverne legittimazione (periodo dei girotondi).

Frutto di due debolezze, il rapporto tra sinistra e intellettuali si è schiantato contro l’anti-intellettualismo dei populisti di destra, centro e sinistra. Ma la debolezza politica non è stata, ovviamente, solo a sinistra. Anzi, per colmare il deficit di legittimità, anche altre parti hanno cercato un accompagnamento degli intellettuali. In una prima fase della seconda repubblica la politica ha cercato di usare in maniera strumentale gli intellettuali disponibili per la costruzione di una nuova identità (Forza Italia, Alleanza nazionale, Pds).

Negli ultimi anni, invece, l’uso si è via via personalizzato, e gli intellettuali, da riferimenti di area, sono diventati riferimenti di politici individuali (basti pensare al rapporto personalizzato di Renzi con Baricco o Recalcati).

Se nella prima repubblica e nella prima fase della seconda repubblica gli intellettuali si sono spesso resi disponibili a ricostruire la storia a fini partitici, negli ultimi anni, alcuni intellettuali si sono prestati a fornire consulenze comunicative tarate sul messaggio del leader. In sostanza, da ideologi della storia a storyteller.

Esperti

Da questa apparente parabola discendente sarebbe facile trarre un giudizio moralistico, una lamentela della degenerazione dei tempi. Ma la misura dei tempi va fatta secondo il metro giusto. Così come non va necessariamente sopravvalutata l’onestà intellettuale del passato, che sovente si prestava a pesanti manipolazioni ideologiche, non va nemmeno sottovalutata l’abilità dello storytelling attuale. Ciò che certamente costituisce una novità è la costruzione della figura del leader, indipendentemente da un movimento collettivo, come unico elemento politico rilevante.

Caravale offre una ricostruzione godibile e pregevole per impegno e onestà intellettuale. E in tal senso contribuisce ad affrontare la situazione, delle cui lacune il libro è una denuncia appassionata. Ma l’analisi di un’evoluzione storica non può che registrare un cambiamento delle categorie, oltre che dei fenomeni.

Se l’emblema dell’intellettuale politico di cui si lamenta la scomparsa era una persona competente su alcuni ambiti ma capace di spaziare su molti altri, oggi l’emblema della professione intellettuale è l’esperto specialistico. Ovviamente non si tratta di due categorie distanti o opposte.

Gli esperti sono intellettuali, e talvolta gli intellettuali di tipo più tradizionale sono anche esperti. Nell’ambito politico l’esperto è un certo tipo di intellettuale, poiché non proviene da una carriera di politica professionale e gode del prestigio in un certo ambito del sapere (economia, medicina, legge, etc.).

Nello slittamento delle figure, Caravale dedica pagine interessanti di analisi della crisi dell’intellettuale umanista, schiacciato dalla ovvia prevalenza dell’economista, novello consigliere del Principe-politico. Ma Caravale esprime, senza formalizzare, una deriva implicita nella storia che fa slittare le aspettative e le categorie corrispondenti. Lo spostamento da intellettuale generico all’esperto comporta diverse aspettative.

Opinionismo generico

L’intellettuale impegnato politicamente di cui si denuncia la scomparsa poteva avere una specializzazione (giuridica, economica, letteraria, storica, etc.) ma il suo ruolo dipendeva piuttosto dalla capacità di analisi critica e dallo sguardo non schiacciato sul presente. Invece, l’esperto del giorno d’oggi è chiamato dalla politica o dai media a rispondere a questioni specifiche (debito pubblico, crisi ambientale, epidemia, etc.), ma il suo successo mediatico ne fa spesso un’autorità generica chiamata a pronunciarsi sullo scibile umano.

Quindi, sono corrette le accuse di presenzialismo e narcisismo verso gli esperti mediatici, ma non possono essere risolte appellandosi all’onestà intellettuale dei singoli. Anche se questo gioverebbe, non si può nemmeno pretendere che un esperto si esprima pubblicamente solo su ciò di cui è esperto. L’esperto infatti può anche ambire a diventare un intellettuale generico, sebbene più spesso finisca per essere un opinionista tuttologo.

Ciò capita non soltanto a causa della vanità dei singoli, ma anche a causa di un dibattito pubblico in cui non sempre si percepisce il valore aggiunto di un discorso fatto da intellettuali generici. Infatti, quest’ultimi sono vittime a loro volta di un opinionismo presenzialista o di un atteggiamento ieratico: in entrambi i casi si dissolve la bontà del loro contributo al dibattito pubblico e al lavoro politico. Ritornando al rapporto tra intellettuali e sfera politica, al volume di Caravale si può aggiungere che l’attuale cortocircuito deriva da un malinteso sull’autonomia: della politica e degli intellettuali. Il rapporto tra le due aree funziona se ciascuna ha un interesse per l’altra, pur mantenendo l’autonomia del proprio funzionamento.

Ma negli ultimi anni abbiamo visto una politica incapace di accettare l’autonomia intellettuale, così come intellettuali ossessionati dalla propria integrità e incapaci di manifestare una vicinanza politica senza sentirsi compromessi. Il risultato è stato, da un lato il sorgere dell’anti-intellettualismo rivendicato (M5S, Lega, Forza Italia), dall’altro il fidarsi ciecamente degli esperti, come se non fossero a loro volta persone che sotto molti aspetti non possono che esprimere opinioni di parte.

Come uscirne? Gli esperti dovrebbero riconoscere che discutere di questioni al di fuori della propria competenza richiede abilità (capacità critica, conoscenza storica, cultura generale) che non sono ovvie.

Gli intellettuali generici dovrebbero invece mostrare di poter dare un contributo diverso da un opinionismo generico o apocalittico. Non rivolgo consigli alla sfera politica, per non cadere in un’inutile lista di vuoti auspici. Ma è possibile che una sfera intellettuale più conscia dei propri limiti presti meno il fianco alla demagogia anti intellettuale che inquina il dibattito recente.

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