Mia moglie se la fa con un morto. Nulla di macabro, per carità: non si tratta di un morto vero, ma a lei piacerebbe infinocchiarmi così. Il cimitero ce l’abbiamo a due passi, questo è vero. Un odore maleodorante persiste nell’aria a causa di un rigagnolo.

Ma penso c’entrino anche tutti quei fiori che marciscono sulle tombe. D’estate, oltre a tutto questo, si sentono le rane che gracidano. La passione di mia moglie per il sovrannaturale e l’occultismo è cominciata tanto tempo fa. Niente di grave, più che altro è una predisposizione d’animo, un’inclinazione verso i colori cupi: il viola, il rosa antico, il pervinca. Ai tempi in cui l’avevo conosciuta se ne stava nella biblioteca universitaria a fare i tarocchi, figurarsi. Comunque il cimitero l’ha risucchiata completamente, per così dire, non appena ci siamo trasferiti qui. All’inizio si era giustificata dicendo che le piaceva cambiare i fiori delle tombe meno frequentate.

Una sorta di atto caritatevole nei confronti dei defunti trascurati. Appena poteva si precipitava giù per le scale, raggiante. Tornava sempre più tardi, giorno dopo giorno. Insomma cominciò a trascorrere più tempo al cimitero che in casa. Le sue scorribande nel regno dei morti, come le definivo io per prenderla in giro, finirono per farle saltare la cena. Una sera entrò in cucina di corsa, i capelli in disordine, il vestito stropicciato.

«Sei impazzita?», le dissi.

«Non mi sono resa conto dell’ora».

«E che hai fatto?».

«Niente».

Dopo una pausa fece una mezza confessione: «Mi sono addormentata su una tomba».

«Ti ci sei addormentata sopra?».

Seguirono delle spiegazioni da cui non mi ero fatto suggestionare. Per me aveva passato il segno, glielo dissi chiaro e tondo. Adesso avrebbe dovuto dimostrarmi che i vivi erano più importanti dei morti.

Mezzanotte al cimitero 

Chi sarebbe così stupido da negare una scappatella al proprio partner? Non sono così ingenuo da ignorare che può essere dura vivere sotto lo stesso tetto dopo i primi due o tre anni. Così, non mi stupì più di tanto che mia moglie ci ricascasse. Una sera ebbe la faccia tosta di rientrare qualche minuto prima della mezzanotte. 

Simulai una calma apparente e chiesi: «Com’è andata al cimitero?».

Abbassò il viso, ancora accaldato: «Non ho saputo resistere, perdonami».

«Ti avranno chiuso dentro. Come hai fatto a uscire?».

«Ho scavalcato la cancellata della parte nuova».

Le guardai le ginocchia per vedere se erano sbucciate, come un padre che controlla la figlia. Mi venne anche da pensare a cose bizzarre. Ad esempio, che non avevamo mai fatto faville a letto, neanche i primi tempi. Mi era parso che a nessuno dei due interessasse, nessuno dei due avesse una fissa in tal senso.

A quel punto glielo domandai: «Con chi eri?».

«Da sola, ti giuro».

«Avevi il cellulare spento».

«Non posso tenerlo acceso, lì. Mi piangerebbe il cuore».

Discutemmo a lungo. Mia moglie sosteneva che l’atmosfera del cimitero era un autentico toccasana. Le piaceva l’idea che la vita e la morte fossero intrecciate, e che i due mondi, in qualche modo, comunicassero tra loro. Finsi di crederle perché ero convinto – e lo sono tutt’ora – che l’amore non si misuri col sesso.

«Se ci andassi soltanto una volta alla settimana?», chiese.

«Di giorno?»

A poco a poco tornò del suo colore, si sistemò i capelli e il vestito: «La sera sento di più».

Sbuffai: «Rientrerai prima della mezzanotte».

Necrofilia?

Mia moglie prese a uscire una volta a settimana, come da accordi. Certo, non è semplice accettare e in qualche modo acconsentire un tradimento. Fin dal mattino dei giorni in questione diventavo intrattabile. M’innervosivo per un nonnulla, ed ero sempre sul piede di guerra, per qualsiasi sciocchezza. Quando arrivava l’ora lasciavo che se ne andasse a fatica. Mai come in quelle sere lo sport in televisione diventava amaro. Sapevo che si trattava di una colossale menzogna, ma averla bevuta almeno mi salvava dal rendermi totalmente sottomesso.

Questo com’era ovvio non m’impedì di sviluppare una gelosia furente. Cercavo un biglietto nella borsetta, un numero sul cellulare, un capo insolito nel cassetto della biancheria intima, qualcosa che potesse confermare le mie certezze. Però non volevo seguirla, perché avrebbe significato cedere del tutto.

A un certo punto non riuscii più a dissimulare e alla fine mia moglie parlò: «Non è come pensi tu».

«E allora com’è?»

«Vado su una tomba. Sempre la stessa».

«Perché?».

Mia moglie si morse un labbro. Il rossetto, perfetto sulle labbra, le sporcò leggermente gli incisivi: «Su quella tomba arriva qualcuno».

«E chi è?».

«Non lo vedo, non posso vederlo, però so che è lì con me».

«E che succede dopo?».

«Ma niente, la sola presenza è un fatto eccezionale, che m’inebria».

«Nient’altro?».

«Mi ha toccato una spalla, l’altra sera. Poi se n’è andato. Bisogna saperle percepire certe cose, capisci? Viene dall’altra parte, ha la consistenza del vento».

Cercai di trattenere una risata così grande che quasi certamente si sarebbe potuta tramutare in un pianto a dirotto: «È un uomo o una donna?».

«Un uomo, credo. La lapide appartiene a un uomo, ma che importanza ha?».

Il pedinamento 

Non impedii a mia moglie di tornare al cimitero – di continuare a vivere quella che dal suo punto di vista era una capitale esperienza di spiritismo - però mi divertii a farmi descrivere nel più piccolo e irrilevante dettaglio l’aspetto del defunto. La foto sulla lapide parlava chiaro: era un uomo di bell’aspetto, d’una corpulenza imponente, barba ben curata, capelli fluenti tirati indietro. Ignoravamo professione e motivi del decesso, anche se mia moglie aveva formulato tutta una serie d’ipotesi al riguardo, basate sulle sue sensazioni.

Avevo appena ascoltato la descrizione del suo amante, in realtà? Mi piaceva crederlo, col tempo il mio masochismo era lievitato. Tuttavia mia moglie aggiungeva poco e di malavoglia, sostenendo che doveva proteggere il fenomeno. In un paio di occasioni accennò alla possibilità di rintracciare i parenti, raccontare l’accaduto, avvalersi di una medium. Intanto però usciva sempre da sola, e agghindata di tutto punto… Una sera indossò una gonna stretta da mozzare il fiato.

«Perché ti vesti così?», le chiesi a bruciapelo.

«Così come?».

«Sexy».

Si mise a ridere: «Sarò una necrofila».

La sfiorai per un istante: il cuore le batteva all’impazzata, simile a quello di una piccola bestiola colma d’eccitazione. Prima di andarsene, si stirò le pieghe della gonna stretta e mi dette un bacio sulla fronte. Era troppo, decisi di seguirla. Per prima cosa mi meravigliò vederla scavalcare per davvero la cancellata del cimitero. I due piccioncini condividevano lo stesso gusto per le cose lugubri, evidentemente. Misi un piede sull’inferriata e mi tirai su con le braccia. All’interno mi accolse un tripudio di colori cupi: il viola, il rosa antico, il pervinca.

Rintracciare la tomba non fu semplice, avevo dovuto controllare diverse lapidi, scrutare nei marmi, farmi largo tra le statue. Rimasi seduto anch’io per un tempo che mi parve interminabile. Mia moglie in effetti stava stesa sulla lapide fredda di una tomba, da sola. Ogni tanto sussurrava qualcosa tra sé, quasi in trance, chissà a chi.

Lei mi avrebbe detto che era cominciata una festa discreta, come dovevano essere le riunioni segrete tra i vivi e i morti; io ho continuato a pensare fino a oggi che il suo amante, messo in allerta dalla mia ombra, fosse sgattaiolato via un attimo prima.

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