Venerdì Santo, giorno della passione e morte di Gesù, è per i cristiani (non solo i cattolici) praticanti il giorno della penitenza per eccellenza, e per una buona penitenza le prime cose da fare sono state per secoli il digiuno e l’astinenza.

Digiuno significa stare lontani da qualsiasi cibo e qualsiasi bevanda (per l’acqua può valere l’eccezione) per un periodo determinato: un mese, un giorno, una parte della giornata. Astinenza significa togliere dalla tavola specifici alimenti, di norma quelli considerati più appaganti e nutrienti (insaccati, affettati, bistecche, dolci, alcolici). Il tempo qui è un fattore elastico: può essere circoscritto, ma si danno casi in cui i calendari non esistono e l’astinenza diventa stile di vita.

Tommaso e Ambrogio

Perché il cristiano praticante è chiamato a digiunare e ad astenersi? Un’autorità teologica di prim’ordine come Tommaso d’Aquino (1225-1274) aveva elencato una serie di motivi talmente pregnante da essere considerata come guida indiscussa per qualsiasi sacerdote o uomo di fede chiamato a rispondere alla domanda.

Perché la privazione purga la mente e conforta i sensi, sottomette la carne allo spirito, rendo il cuore contrito e umiliato, disperde le nebbie della lussuria, spegne gli ardori della libido per accendere la vera luce della castità, mortifica la carne, tormenta la gola, debilita la concupiscenza nella moderazione. Insomma, almeno agli occhi del santo teologo per eccellenza digiuno e astinenza fanno un sacco di cose considerate virtuose, agevolando il trionfo dello spirito sulla materia.

Non l’aveva ideata da solo, Tommaso, ma scriveva quale erede di una lunga tradizione di pensiero risalente a più di un millennio prima di lui. Senza dilungarci troppo nelle liste virtuose di antichità e medioevo, accenniamo solamente all’autorità di Ambrogio da Milano (339/340-397), oggi santo come l’illustre successore. L’odierno patrono di Milano compose un accorato elogio del digiuno, dal quale evidentemente la tradizione futura avrebbe attinto a mani piene e fede salda.

Ecco allora il digiuno sostanza e immagine del cielo, nutrimento dell’anima, cibo spirituale, vita degli angeli, morte del peccato, annientamento dei delitti, mezzo di salvezza, origine della grazia, fondamento della castità, via privilegiata a Dio. Un sacco di responsabilità, per un semplice comportamento alimentare: difficile pensare alla possibilità di uno spot migliore. O peggiore, dipende dai punti di vista.

Eccezioni

Non di soli digiuni e astinenze, però, è fatto il comportamento del penitente. Lo sapeva bene Benedetto da Norcia (480 circa-547), autore di uno dei più noti e longevi sistemi di regolamentazione della vita monacale, nel quale l’attenzione al “sistema del cibo” non era affatto secondaria e prevedeva una dieta basata soprattutto su verdure e legumi, preferibilmente cotti.

In chiusura al capitolo della regola benedettina dedicato alla mensa stava l’ordine di astenersi del tutto dalla carne dei quadrupedi, ammessa solo per chi ne avesse davvero bisogno per motivi di salute. Si sa, a ogni regola la sua eccezione e lo possiamo scrivere anche qui: interpretando alla lettera le parole del fondatore, parecchi monaci furono attentissimi a evitare bestie a quattro zampe, ma questo non impedì loro di dedicarsi con malcelata voluttà al consumo dei volatili. Fu questa una trovata utile a osservare la norma senza troppo sacrificare i piaceri dello stomaco, con una deviazione palese – ci sia consentito scriverlo – dal senso del dettato benedettino.

Non ci sono però le sole eccezioni truffaldine, papi e dotti giuristi ne dettarono parecchie del tutto legittime, tenendo conto di morale e stagioni. Quando una schiera di solerti missionari si affacciò sulle sponde del cosiddetto Nuovo Mondo, ci si accorse presto che per convertire gli indigeni bisognava allentare la corda delle proibizioni alimentari cattoliche. Fu argomento affrontato anche da una bolla – provvedimento da collocare piuttosto in alto nella gerarchia dei dettami pontifici – nota come Altitudo Divini Consilii, datata 1° giugno 1537 e promulgata da Paolo III (1468-1549, papa tra 1534 e 1549).

Il papa decise che gli indiani abitanti delle Americhe (che confusione di nomi!) neo convertiti al cattolicesimo potessero seguire un regime della tavola meno rigido di quello europeo: al di là delle occasioni principali (vigilie di Natale e Pasqua, venerdì di quaresima). La concessione intendeva evitare di sovraccaricare i nuovi cristiani (come li chiamavano) con obblighi troppo pesanti che avrebbero potuto complicare la loro adesione alla nuova fede.

Festa

Ma che cos’è la privazione del venerdì se non la preparazione alla gioia della domenica? Ce lo ricorda anche un attento penitente come il già noto Benedetto da Norcia, che prima di organizzare la propria via alla vita monastica trascorse alcuni anni di eremitaggio nel deserto. Nella sua Vita scritta da un altro santo, Gregorio I Magno (540 circa-604), leggiamo che l’inizio dell’esperienza religiosa di Benedetto era coinciso con la scelta di alimenti come pane raffermo ed erbe prive di condimento.

Abitualmente si accontentava di un tozzo di pane procuratogli da un religioso che viveva in un monastero ubicato vicino al suo luogo di ritiro. A Pasqua, però, tutto poteva e doveva cambiare: per celebrare come si deve la festa della Resurrezione, Benedetto accettò di mangiare bene e abbondante perché rifiutare il cibo in quella santa occasione avrebbe costituito un affronto alla grazia divina. L’alternanza tra momenti di sacrificio e di celebrazione è una caratteristica fondante le regole alimentari cristiane, Benedetto ne era certo consapevole.

 

Oggi il diritto canonico lo specifica bene, al canone 1251 prescrive infatti di osservare l’astinenza dalle carni o da altro cibo (l’importante sta nella scelta di una penitenza, aggiungiamo noi), in tutti i venerdì dell’anno, non però se coincidono con un giorno di festa («annoverato tra le solennità», recita il canone). Laddove si celebra, la letizia trionfa sulla contrizione.

La storia è fatta anche di storie, leggerne qualcuna sui venerdì di magro e le domeniche di grasso ci consente di capire come e perché siano nate e cambiate determinate abitudini alimentari.

Per esempio, amici di cultura religiosa diversa da quella cristiana mi hanno invitato a una grigliata del venerdì santo, preoccupando mia figlia preadolescente che neppure sa cosa siano il digiuno e l’astinenza, ma ha consapevolmente scelto una dieta senza carne perché vuole dare il suo contributo alla lotta contro il cambiamento climatico. Io ricordo da bambino e da ragazzo di avere spesso mangiato minestra e uova nei venerdì di quaresima, poi diventato giovane uomo ci ho fatto sempre meno caso. Tutto cambia, specialmente le priorità; la storia aiuta a rendersene conto.

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