Gli anni Ottanta sono la mia infanzia, il posto migliore e peggiore che ho visitato, il posto da cui scappare e in cui posso tornare. Da dimenticare e glorificare. Nel 1982 esce Borotalco di Carlo Verdone, che una quarantina di anni più tardi diventa uno dei miei film preferiti, è una di quelle storie che funzionano come medicine salvavita, da rivedere tutte le volte che hai un problema, quando sei angosciata – nel 2020, durante la mia prima (e spero ultima) quarantena, l’ho imparato a memoria.

Lì dentro c’erano: la leggerezza, la poesia, i grandi sentimenti. Carlo Verdone (Sergio) irresistibile imbranato in stato di grazia, Eleonora Giorgi (Nadia) nel pieno degli anni, bella e vitale, e poi gli Stadio, Lucio Dalla, quelle canzoni che ancora ascoltiamo, di cui ancora sappiamo le parole.

Insomma una vera enciclopedia di quel periodo, di quel paese, di quell’aria che provava a tornare leggera dopo il piombo degli anni Settanta.

La vita si sa che è complicata e che Borotalco è una favola come ci garantisce il suo finale: in fondo alle cose ci si ritrova, si cambia ma non veramente, è vero che il tempo passa e continuerà a passare e che i capelli di Nadia sono lisci: «Hai cambiato pettinatura», «ti piace?» «molto» e che i due innamorati si fanno domande di circostanza: «Tuo marito… cosa fa tua moglie… il tuo bambino a chi somiglia…» ma quando si salutano, e sembra tutto finito e il passato diventa solo un magnete che ci attrae ma a cui non apparteniamo più, proprio dopo i saluti Eleonora Giorgi-Nadia esce di corsa per raggiungere la sua giovinezza (nonostante fossero ancora giovani, ma sappiamo che il vero tempo segue altre regole) e ricominciare il gioco che li aveva fatti lasciare, chiedendo notizie di Dustin Hoffmann e Robert Redford al bugiardo di cuore di cui si era innamorata. Verdone intercetta subito le intenzioni e i sentimenti e così cambia voce, ritornando a essere la persona di prima, il magnifico millantatore: in effetti Redford lo ha invitato a una festa a Los Angeles, ma troppo lungo il viaggio, non ne ha voglia, a meno che non vadano insieme, lui e lei, quelli di prima quelli di sempre. E a quel punto l’unica cosa da dire e da fare è una battuta di Eleonora Giorgi: «Baciami scemo».

Sono passati anni, Eleonora Giorgi ha fatto tantissimi film, tra cui Compagni di scuola, e Sapore di mare – indimenticabile la scena sulla spiaggia con Ciavarro «Pizza fredda e birra calda, tutto il contrario come nella vita» – il Covid-19 è passato, sono successe altre cose, bellissime, terribili, siamo andati avanti e siamo arrivati nel 2025, il mondo è nell’ennesimo momento difficile e io mi ritrovo a dover aiutare un’amica che non sta bene.

La clinica

Ci sono posti strani, le scale di questa clinica sono tra questi: noto subito che c’è della musica, una specie di jazz, mi chiedo perché ci sia, mentre le faccio due alla volta – non prendo l’ascensore, per claustrofobia, ma cerco di arrivare all’ultimo piano nello stesso momento della persona che sto accompagnando. Non so come, riesco.

Un infermiere ci porta nella stanza, una bella vista sulla campagna romana, è una giornata di sole e tachicardia, è il minimo che possa succedere quando hai a che fare con la salute e i suoi luoghi. Soprattutto quelli di detenzione, cioè gli ospedali, le cliniche, le case di cura.

L’infermiere ci saluta, parlo con la mia amica mentre si prepara per la cura, fingendo controllo e tranquillità, spero di non svenire al posto suo, vanificando il senso del mio essere con lei. Riesco a fingere bene, a controllare la risata di circostanza che nasconde l’angoscia, tutto bene? «Sì, sì bene». Vado al bagno, camuffo tutto sotto l’acqua fresca, e quando esco trovo un’infermiera che armeggia. Si inizia.

L’infermiera si scusa per l’attesa, la mia amica dice che non c’è stata nessuna attesa e che comunque stavamo bene, stavamo scherzando (non me ne sono resa conto ma meglio così). L’infermiera ci spiega che ha una paziente a cui tiene molto ed è con lei che è rimasta un po’ più del previsto.

È una donna speciale che nonostante la gravità della sua malattia non perde mai il sorriso. Non l’ha mai vista né sentita lamentarsi, sempre positiva e ottimista anche se solo un miracolo avrebbe potuto salvarla e ancora: «La vedo godersi fino all’ultimo la vita, con una voglia e una gioia mai spente. È incredibile come non smetta di sorridere, mi resterà per sempre nel cuore, il suo esempio è un vero regalo per me…».

Dopo questo momento di commozione, la giovane donna, che ci incanta come una diva, aggiunge che doveva finire di aiutarla a prepararsi per la giornata: nonostante la gravità, nonostante tutto, la paziente vuole essere profumata e curata.

C’è un tempo, che forse in realtà c’è sempre ma noi non lo consideriamo, in cui le cose minuscole, apparentemente insensate, diventano fondamentali, come un po’ di profumo. Come una nuvola di borotalco. Lieve come lei, come Eleonora Giorgi.

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