Collisioni e parole cinesi

“Fame blu” onora la verità dell’amore con la sua matrice ossessiva e fatale

  • Fame blu, il nuovo romanzo di Viola Di Grado, pullula di simboli ed emblemi, un romanzo in cui le varie presenze – umane, animali, celesti, vegetali, minerali – tramano, congiurano insieme per esprimere una specie di spirito sovrapersonale che oscilla tra il sadico e il compassionevole.
  • Attraverso il racconto di una collisione amorosa radicalmente incarnata e fuori misura, Di Grado articola una sua originale visione del mondo, un’ontologia poetica, che lega i piani e le presenze, animata da una strana indole, quasi-panteista.
  • La lingua cinese è il sentiero sul quale si articola l’esplorazione del desiderio vissuto come divoramento e voglia di mangiare/farsi mangiare dall’altro. «L’amore ci dicono che non dovrebbe fare male», e invece non c’è nulla di rassicurante, edificante in questa storia, e qui sta anche la sua forza.

Viola Di Grado non ha ancora trentacinque anni eppure è una delle scrittrici italiane più originali e carismatiche, nonché una delle più lette e tradotte all’estero. Il segreto della sua voce sta forse tutto nella devozione senza compromessi che sin dal suo folgorante esordio – Settanta acrilico trenta lana, premio Campiello Opera prima nel 2011 per «l’invenzione linguistica spinta fino alla visionarietà» – riserva alla letteratura, all’accettazione del distacco dal mondo necessario per veder

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