A uno dei più longevi e riconosciuti eventi, di proprietà pubblica, è stato dimezzato il punteggio. Non è un giudizio tecnico, ma un messaggio politico contro il pluralismo
La libertà culturale non si toglie tutta in una volta. Si erode colpo dopo colpo, attraverso punteggi immotivati, criteri opachi, esclusioni strategiche. È quello che sta accadendo con l’esito del bando triennale Fnsv (Fondo Nazionale per lo Spettacolo dal Vivo) 2025-2027 per teatro, danza e multidisciplinare: un dispositivo pensato per sostenere il sistema dello spettacolo dal vivo, che oggi rischia di diventare uno strumento di disarticolazione selettiva.
Il caso del Santarcangelo Festival è emblematico. A uno dei più longevi e riconosciuti festival italiani, di proprietà pubblica (i soci sono Comuni) con 55 anni di attività e un profilo internazionale consolidato, è stato dimezzato il punteggio: da 28 a 14 in una scala a max 35. Un taglio che non trova riscontro nella documentazione presentata, né nelle attività realizzate, né nella coerenza progettuale o nei risultati raggiunti. Non è un giudizio tecnico: è un messaggio politico.
Colpire Santarcangelo significa colpire uno dei luoghi che più hanno garantito in Italia pluralismo di linguaggi, ricerca artistica, apertura ai corpi, ai soggetti e alle visioni non normate. È un festival che ha sempre fatto della sperimentazione non un vezzo, ma un atto politico, alimentando uno spazio pubblico denso, attraversato da domande, posizioni, conflitti. E proprio per questo, oggi, diventa bersaglio.
Come ha dichiarato il direttore artistico Tomasz Kireńczuk, «non c’è più spazio per il rischio culturale, per la complessità, per l’imprevisto». Una normalizzazione dall’alto — silenziosa, ma efficiente — mira a ridurre gli spazi dell’autonomia, imponendo un’idea rassicurante e controllata di cultura nazionale.
I casi sono numerosi: Fuorimargine a Cagliari, Teatri di Vetro a Roma, Teatro Akropolis di Genova e altri sono esclusi dal FNSV; Teatro delle Moire/Danae Festival da 32 a 11 punti; Festival Ipercorpo da 29 a 11; Big Bari International Festival da 29 a 11; Festival delle 100 Scale da 27 a 11. Il margine è sotto i 10. Tutte realtà che da anni svolgono un lavoro riconosciuto, spesso cruciale per i territori in cui operano, e che condividono un’impostazione curatoriale orientata alla ricerca, all’alterità, alla costruzione di senso.
Il rischio culturale
L’eliminazione del “rischio culturale” dai criteri di valutazione, le commissioni nominate con criteri opachi e spesso orientamenti omogenei, le decisioni prese a maggioranza nonostante il dissenso — e in alcuni casi le dimissioni — di singoli commissari, indicano non una deriva, ma una strategia sistemica di marginalizzazione dei soggetti più critici. Non è in discussione la possibilità di valutare. Ma servono criteri chiari. La valutazione è sempre in parte soggettiva ma la discrezionalità non può diventare arbitrio. Oggi sembra accadere proprio questo.
Siamo di fronte a un cambio di paradigma: si privilegia ciò che è riconducibile a un’idea di cultura nazionale rassicurante e identitaria e si disinveste da ciò che viene considerato non conforme. Si colpiscono quelle realtà che hanno costruito un senso alto di responsabilità culturale e sociale.
Chi prende queste decisioni deve assumersene la responsabilità. Se l’obiettivo è una monocultura governabile, si modifichino le norme del settore. Altrimenti si restituisca legittimità ai luoghi in cui si costruisce, da decenni, una cultura viva, critica, plurale. Punire un festival significa colpire un intero ecosistema: artiste e artisti, lavoratrici e lavoratori, tecnici, reti locali e internazionali, progetti già avviati, alcuni già conclusi. Significa colpire anche il suo pubblico, che nel caso di Santarcangelo è una comunità ampia, consapevole, che da anni cerca nel festival uno spazio di visione e confronto radicale.
In gioco non c’è solo il destino di alcuni festival. C’è la tenuta di un’idea democratica di cultura: quella che difende la diversità, che produce immaginazione collettiva: una cultura viva non può esistere senza il diritto di prendere posizione. Se i luoghi che garantiscono libertà vengono penalizzati, il messaggio è chiaro: la cultura è benvenuta solo se spenta, disinnescata, inoffensiva. E non si può parlare di visioni artistiche senza difendere le condizioni che le rendono possibili.
Santarcangelo festival comincia il 4 luglio con un titolo che oggi suona quasi profetico: Not yet. Non ancora. Nonostante tutto, non è ancora il momento della resa. Non è ancora il momento in cui la cultura si piega, si normalizza, si arrende. E forse proprio da queste parole, trasformate in voce comune, possiamo ripartire. Per difendere uno spazio, critico, libero. Per affermare che la cultura non si lascia ridurre al silenzio. Not yet.
Giovanni Boccia Artieri è presidente dell’associazione Santarcangelo dei Teatri oltre che sociologo dell’Università di Urbino Carlo Bo
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