La prima volta che era entrata in quel condominio aveva avuto l’impressione che fossero tutti morti. Lo aveva scelto per questo, più ancora che per le parole accorate dell’agente immobiliare. Lui parlava di edificio di pregio, sicurezza del quartiere, mura solide e bassi consumi.

A lei interessava non essere disturbata e, a due anni di distanza dal trasloco, nessuno aveva osato farlo. Il palazzo constava di sole sei unità abitative tutte occupate da presenze poco più che fantasmatiche, famiglie che parevano assemblate con pezzi presi dallo stesso contenitore, genitori e figli dai volti appannati. Non si fermavano a salutare, si affrettavano a chiudersi la porta alle spalle con il capo chino.

Lei però sapeva che tutti si scrutavano a vicenda da dietro persiane e tapparelle, in una pantomima orrorifica trita al punto da risultare, al più, bambinesca. L’unica dotata di volto e di voce riconoscibili era la signora del primo piano, Miranda, che aveva settantasei anni ma ne dimostrava molti di più.

Miranda, soppesava lei scendendo le scale che portavano fino alla sua porta, è forse la sola inquilina viva di tutto il palazzo. Abitava con il figlio – impiegato all’anagrafe, sempre vestito di camicie leggermente lise sui polsi e soprabiti beige o cammello – che alternava stati di silenzio atterrito a esplosioni verbali da cui subito pareva spaventato. Suonando il campanello si chiedeva in preda a quale delle due fasi l’avrebbe accolta.

Solo una settimana prima era in coda all’edicola di quartiere anche se non c’era nessuna vera coda. C’era solo la signora Miranda, intenta in un monologo che incantava e stordiva la ragazza dei giornali. Le diceva: «Ma lo sa che mia mamma è morta di colpo, dopo essere tornata da una cena con le amiche? È andata in bagno per la toletta e non è più uscita. L’abbiamo trovata così, seduta sul sanitario. E io ho anche pensato che cosa brutta, all’improvviso, senza il tempo di salutarsi».

Percependo la presenza di un pubblico alle sue spalle si era girata a guardarla. Aveva teso il braccio ossuto per indurla a prestare attenzione, e proseguito: «Ma qualche anno dopo, ho invece visto la malattia di mio marito». Gesticolava vivace per quanto glielo consentissero la piccola gobba e le dita annodate dall’artrosi; all’improvviso decideva di afferrare il giornale e infilarlo nella busta della spesa. Allontanandosi aveva detto a lei e alla giovane edicolante: «Auguro a voi, così come a me stessa e a tutte le persone a cui voglio bene una morte improvvisa».

Non soddisfatta dettagliava: «Niente calvario, ospedali, dolore, medicine, operazioni. Godetevi la vita. E ringraziate tutti i giorni chi vi ha messo in questa valle di lacrime. Io se fosse per me non me ne andrei mai, il Paradiso lo lascio al papa, o a chi ha più fede di me». Poi, come avesse appena finito di parlare del tempo, aveva detto loro buona giornata, e lentissima si era diretta verso casa.

In quell’appartamento ci era entrata solo una volta ed era stato poco dopo il trasloco. Miranda l’aveva praticamente agguantata sulla soglia perché voleva – doveva – offrirle il caffè. A lei interessava non essere disturbata, ma neanche una delle occasioni in cui quella minuscola figura avvolta in grembiuli le aveva rivolto la parola l’aveva mai trovata un disturbo. Ora, quando il figlio le apre la porta, lei non sa bene se sperarlo silenzioso o ciarliero. Pensa che se solo lui avesse il senso umorismo della madre, invece di fargli le condoglianze, si congratulerebbe per la sua morte improvvisa.

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