Ho una collega, si chiama Letizia e a volte dice che secondo lei agosto è il mese del dolore, della disperazione e della morte. La cito a memoria, dunque non sono sicura che queste siano le parole esatte, ma il concetto lo è senz’altro.

Non so se agosto sia il mese della disperazione e della morte, però so quello che mi ha sempre ripetuto mia madre perché glielo ha sempre ripetuto sua madre, ovvero che ci sono due mesi dell’anno a cui bisogna prestare maggiore attenzione, perché sono pericolosi. Si tratta di agosto e gennaio.

Mesi pericolosi 

Magari mi sbaglio, ma ho l’impressione che questo pensiero sedimentato nella mia famiglia derivi da antichi retaggi contadini o addirittura pre-contadini. A volte mi pare di vederli, sono i più primitivi tra i rami del mio albero. Non coltivano e neanche allevano. Stanno nel fondo più fondo della foresta, che peraltro è ovunque perché siamo in un tempo in cui tutto è foresta che non dirada. Non coltivano né allevano, in compenso raccolgono, strappano, estirpano e quando serve rincorrono e uccidono.

Sanno molto bene una cosa, che ci sono due momenti che tornano ciclicamente e in cui si verifica un fenomeno, si muore. Cioè, si muore più spesso. Non tutti e non tutti insieme. Ma cadono con più frequenza gli anziani e i malati, i deboli di ogni età, a volte e all’improvviso anche qualche adulto sano. Hanno compreso che succede quando fa davvero molto caldo e davvero molto freddo.

È a questo che penso quando mia madre e mia nonna confabulano (una da viva e l’altra da morta), di mesi pericolosi su cui pende una maledizione. Penso che hanno ragione per motivi strettamente pratici e non soprannaturali. Quando le condizioni si fanno estreme, mi stanno comunicando, è opportuno fermarsi o comunque rallentare molto.

Vivi e pericolanti

Allora io oggi esco di casa dalla porta sul retro, quella con la maniglia affranta. La dico affranta perché è difettata e tutta protesa verso il basso. Seppure a stento, la chiave gira ancora, ma l’unico modo di chiudere dopo aver aperto è sbattere forte. Così, se qualcuno entra o esce dal retro, pare sempre che sia molto arrabbiato anche se non è vero.

Per questo frammento di estate calante mi sono ritirata nella valle delle progenitrici, vicino al bosco (che un tempo era foresta) e al lago (che un tempo non esisteva), e da qui vedrò la fine del pericolo, anche se alla fine del pericolo non credo, perché essere vivi significa essere pericolanti.

Un anno fa ero nello stesso posto a formulare pensieri non troppo diversi, lo so perché su un quaderno di appunti scrivevo: quando mi sveglio è il venti agosto duemilaventuno e sono circa le sette. Vado a camminare attorno al lago anche se “attorno” è un concetto che qui non esiste dal momento che la strada si ferma e la circonferenza rimane incompleta. È una mattina ventilata perché nella notte un nubifragio si è abbattuto su una città a duecento chilometri di distanza.

C’è sempre qualcosa di terribile accaduto agli altri che rende delizioso il clima dei vicini, e particolarmente vividi i riflessi del sole sull’acqua del lago, così vividi che oggi sembra quasi uno specchio vero e non la misera pozza di sempre. Il viadotto, sullo sfondo, ci ricorda che non possiamo mentire a noi stessi.

(Il racconto è una finzione ma la collega di nome Letizia è la scrittrice Letizia Pezzali. Il titolo è preso in prestito da Agosto, canzone dei Perturbazione contenuta nell’album In circolo)

© Riproduzione riservata