Con la pandemia abbiamo ufficialmente varcato il limite che separava le nostre vite dalla distopia, eppure ci sono ancora cose capaci di sorprendermi e lasciarmi a contemplare l’inarrestabile deriva della razza umana. Fra queste c’è Naked Attraction, un format televisivo inglese nato nel 2016 appena arrivato in Italia su Discovery+ (e in onda sul Nove in versione censurata), una roba che in confronto Black Mirror è Gli Aristogatti.

Naked Attraction funziona così: un concorrente vestito (uomo o donna di qualsiasi orientamento sessuale) si trova davanti a sei single completamente nudi chiusi in altrettante cabine colorate. A ogni manche, dal basso verso l’alto, vengono svelati i corpi dei sei (prima piedi, gambe e genitali; poi pance, pettorali e seni; infine le facce) e nell’ultima manche potranno anche parlare.

A ogni turno il concorrente elimina una cabina, fino a rimanere con due finalisti. A quel punto si spoglia anche colui o colei che deve fare la scelta e, selezionato il candidato vincente, i due si rivestiranno per andare a bersi un bicchiere, nella speranza di trovare un’intesa anche al di fuori dell’attrazione fisica. Il concetto alla base del programma è proprio questo: partire dalla fine di un primo appuntamento (la nudità) potrebbe essere la chiave per impostare un rapporto sano, libero da preconcetti e sovrastrutture. Un’idea che sicuramente può funzionare per i macachi, meno per gli esseri umani.

Discrepanze logiche

Al di là del presunto esperimento sociale – che come è ovvio è subordinato alla novità di poter mostrare in tv genitali incensurati – Naked Attraction ha anche una missione morale, tanto ammirevole quanto discutibile. Il messaggio che passa forte e chiaro, urlato a gran voce da ogni culo basso e maniglia dell’amore svelati in tutta la loro inadeguatezza sotto le luci impietose dello studio, è: ogni corpo è attraente a modo suo.

«Wow, sono tutti bellissimi» esclama la concorrente della prima puntata davanti a sei peni flaccidi, mentre io da casa mi schermo gli occhi con la mano e dico “bleh” a voce alta. La conduttrice Nina Palmieri – a cui andrebbe dato un premio per la serietà e allo stesso tempo la leggerezza con cui si destreggia in questa situazione, perfettamente a suo agio nel pontificare su curvature strane e pareti vaginali – è paladina della body positivity e riempie tutti di complimenti amorevoli e sinceri.

«Vorrà dire extra large?» si chiede speranzosa, vagliando insieme alla concorrente le tre X tatuate sul pube di un uomo che, con ogni evidenza, è tutt’altro che superdotato. «Sono sempre stato un ottimo amante» dichiara un ragazzo dal pene ritratto che probabilmente non ha mai visto la scena del ristorante di Harry ti presento Sally.

Questo tipo di discrepanza logica – tra ciò che vediamo (cioè tutto) e ciò che viene dichiarato – è il leitmotiv del programma, che fatica quindi a uscire dal pantano dell’ipocrisia. «Sono pansessuale, cioè sono attratto non da un genere ma dagli esseri, purché umani» dice un altro concorrente, poco prima di dover selezionare l’anima gemella tra un ampio assortimento di peni e vagine di fogge diverse. Davanti all’irriducibile, insindacabile, innegabile presenza di un organo sessuale, cosa può attrarti se non il genere? Uno scroto pieno di personalità? Una tetta con un ottimo senso dell’umorismo? Una chiappa di buona famiglia? Il controsenso è evidente.

Questo concorrente fra l’altro è un gimnopodista, cioè uno che non crede nell’uso delle scarpe e se ne va in giro per il mondo a piedi nudi. Che è una di quelle cose che mi piacerebbe sapere prima di trovarmi con lui scalzo al ristorante, a vergognarmi come una ladra. Nella mia modesta esperienza, questo è il genere di informazione che serve per gettare le basi di un rapporto. Provo imbarazzo a farmi vedere con lui in pubblico? Rispetta un livello di igiene personale adeguato? Se le risposte sono “no” e “sì” possiamo andare avanti, abbiamo superato i requisiti minimi. Invece in Naked Attraction vale tutto, tranne il raziocinio. Si considerano abitudini depilatorie, dita dei piedi, lunghezza dei testicoli, forma dei capezzoli. È così che sono nate tutte le grandi storie d’amore, no? Con un’attenta analisi degna del banco della carne.

Tenerezza e vulnerabilità

C’è tuttavia qualcosa di tenero in Naked Attraction, e non sto parlando della sfilza di cazzi a riposo a cui ci si trova sottoposti. È la vulnerabilità dei concorrenti a scaldare il cuore, uomini e donne normali, imperfetti – grassi, magri, pelosi, asimmetrici – disposti a mostrarsi senza filtri. In un’epoca in cui tutti si affannano a rivelare solo i lati migliori di sé, queste persone scelgono il massimo grado di autenticità. Non è necessariamente un bello spettacolo, ma per loro deve essere molto liberatorio.

Mentre si guardano l'un l'altro con occhi fissi e privi di desiderio, sembrano completamente galvanizzati dall'esperienza. A volte, alla fine, la nuova coppia nuda si abbraccia con ostentata disinvoltura (un gesto inconcepibile anche tra sconosciuti vestiti, per quanto mi riguarda). I due finalisti rispondono senza imbarazzo alla domanda della conduttrice: cosa ti piace del corpo dell’altro? «Il taglio degli occhi» risponde un concorrente uomo, cercando con tutte le sue forze di mantenere lo sguardo sopra alla linea delle spalle del collega e fingendo che non ci siano due palle a penzoloni a pochi centimetri dalle proprie.

Alcuni dicono di essere lì per superare le loro insicurezze, altri sfoggiano con orgoglio un corpo nuovo che finalmente gli appartiene, dopo aver affrontato l’operazione per il cambio di sesso. È forse questo il merito più grande di Naked attraction: normalizzare i corpi di tutti. Oltre la retorica progressista un po’ paracula a cui siamo oramai assuefatti, c’è un risultato positivo che più concreto non si può. Lo puoi guardare con i tuoi occhi, nudo e crudo.  

Non c’è niente di sessuale, niente di scabroso, nelle dinamiche che si creano. La nudità è trattata con freddezza analitica, si parla di sesso senza malizia, come se si stesse discutendo del meteo, e piccole clip di approfondimento tematico – dalle parrucche pubiche usate nel Settecento alla stimolazione della prostata – contribuiscono a dare al programma una parvenza di serietà. Alla fine ci si ritrova ipnotizzati, a guardarlo come un documentario sugli animali della savana.

La fine dei format 

Con Naked Attraction ho l’impressione che il genere del dating show abbia raggiunto un punto di non ritorno. Abbiamo visto gente sposarsi senza conoscersi (Matrimonio a prima vista), trenta donne corteggiare lo stesso uomo (The Bachelor, Uomini e Donne), due sconosciuti innamorarsi attraverso un muro (Love is Blind), e ora, del tutto disincantati e impermeabili a qualsiasi mostruosità, accettiamo un programma in cui l’amore si cerca in una schiera di genitali.

Non c’è più alcun margine di novità. A meno che qualcuno non si inventi un programma in cui l’incesto viene riportato in auge in nome delle grandi dinastie del passato – sempre all’urlo di «esperimento sociale!», che è la formula magica con cui si presentano al pubblico le pessime idee – o un reality in cui i concorrenti devono scegliere il partner scremando tra le colonscopie di vari candidati, i format delle coppie in tv sono finiti.

A questo punto sarebbe bello che quelli esistenti si contaminassero fra loro: togli l’eteronormatività a The Bachelor, aggiungi il decoro al progressismo fuori controllo di Naked Attraction. Ma la verità è che ne verrebbe fuori un programma meno estremo, meno scandaloso, e quindi meno degno di attenzione. Vogliamo guardare dentro all’abisso, vogliamo vedere la fine della civiltà, avvolta tra le fiamme. Questo tipo di televisione, anche con le migliori intenzioni, non sarà mai un’esperienza edificante. Dopotutto non siamo qui per questo.

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