Fino al 14 giugno sull’isola di Capraia si terranno eventi e incontri legati al Premio letterario internazionale del mare Piero Ottone assegnato a Domenico Starnone per Il vecchio al mare. «In Italia non raccontiamo pirati e battaglie navali ma abbiamo Salgari e preferiamo le piccole emozioni». La scrittura: «Non si fa granché di buono se a ogni rigo non si punta molto in alto». I giorni felici: «Quelli in cui ci si scopre innamorati o quando nasce un figlio»
Si sono trovati tutti sull’isola di Capraia gli scrittori finalisti del Premio letterario internazionale del mare Piero Ottone. E da quest’isola, così lontana e impervia dell’arcipelago toscano, proprio loro che hanno scritto di isole, sfumature di blu, mostri marini, odori e onde, si sono fatti cullare.
Un premio alla seconda edizione, voluto dal Comune di Capraia con Stefano Mignanego e Bettina Bush, per tenere vivo il ricordo del padre Piero Ottone, scrittore e giornalista che amava quest’isola, scoperta per caso negli Anni 80 e di cui non fece più a meno.
Domenico Starnone, fresco di premiazione per il suo titolo Il vecchio al mare votato dalla maggior parte delle biblioteche toscane, è su un Bavaria 44, barca a vela confiscata alla mafia e che oggi, dopo una lunga ristrutturazione, è diventata di proprietà della Lega Navale che ne gestisce le sorti. Un giro intorno all’isola ancora deserta, e che, forse per la sua posizione più vicina alla Corsica che alla Toscana, e per la sua conformazione rocciosa, non rischierà l’overtourism.
Tanti sono i traguardi di Starnone, a cominciare da quella sua prima raccolta di libri sulla scuola Ex Cattedra – volutamente senza il th, dirà dopo – fino al premio Strega per Via Gemito, e il successo di pubblico e critica di Lacci. A lui in passato era stata anche attribuita la scrittura di Elena Ferrante, pseudonimo di cui non è mai stata svelata la reale identità e dietro cui sembrerebbe invece celarsi la moglie, la traduttrice Anita Raja. Un tema che ha appassionato molti lettori, ma di cui non vuole parlare.
La barca a vela è di destra o di sinistra?
La barca a vela è bella.
Qual è un suo talento inutile, che nessuno conosce?
Non ci sono talenti inutili, ci sono talenti che non coltiviamo e si atrofizzano. Se dopo qualche tentativo riuscito non mi fossi tirato indietro con la solita formula: «Ho altro da fare», avrei potuto essere, che so, un buon elettricista, un idraulico, un falegname, o persino passare la vita al timone di una barca a vela. Siamo tutti un concentrato di possibilità che piano piano accantoniamo. Alla fine siamo troppo vecchi per recuperare.
Sa cucinare?
Se mi si dice «oggi cucini tu», io rispondo «ho altro da fare».
Non la divertirebbe?
Quando c’è una situazione di emergenza, faccio una frittata di pasta e mi viene anche bene. O l’uovo al tegamino. O altro che invento là per là e mi diverto.
Ha scritto Il vecchio al mare, per cui è stato premiato. Che cosa l’ha spinta a scrivere un libro su un uomo anziano?
La mia esperienza della vecchiaia. All’inizio avevo in mente solo un uomo che all’improvviso, mentre va verso il mare, ha l’impressione che qualcosa fugga via dal suo stesso corpo, ma non sa cos’è. Una specie di allucinazione.
È un vecchio fantasioso che vuole provare l’esperienza del kayak e che trova 400 euro con un metaldetector sulla spiaggia. Come sono nati certi spunti?
Metodo. Chi scrive, annota ogni giorno tutto ciò che lo incuriosisce. Sono esercizi di scrittura. Il metaldetector era tra i miei appunti.
Dove li scrive?
Su un bloc notes. Non è roba finalizzata a un racconto. Il tizio col metaldetector, per esempio, poteva restare per sempre lì. E invece un giorno esce dal bloc notes, va su una spiaggia di invenzione e comincia ad agire dentro un racconto.
Siamo una nazione bagnata quasi interamente dal mare ma non abbiamo un libro alla Moby Dick. Perché?
Abbiamo Salgari, bisogna sapersi accontentare. Ma anche qualche capolavoro. Un pezzo bellissimo di Le confessioni d’un italiano di Ippolito Nievo, racconta di Carlino che scopre il mare. Forse ci vengono bene soprattutto le pagine che raccontano l’azzurro, la luce delle città di mare, il piacere della pesca. Penso a Calvino, quello giovane dei Racconti, e quello di Palomar. Oppure alla prima pagina di Ferito a morte di Raffaele La Capria . Noi raccontiamo il mare senza i pirati o le battaglie navali o le grandi navigazioni. Preferiamo le piccole emozioni. O il disastro e la morte per acqua.
Nel titolo del suo libro c’è un richiamo a Hemingway.
Sì, ho pensato di mettere a confronto ironicamente il personaggio che avevo in mente, un vecchio intellettuale ben tenuto che affronta senza drammi la decadenza fisica e mentale, con l’epico pescatore di Hemingway. Ma è un gioco esplicitato solo dall’urto tra i due titoli.
Si spieghi.
Il mio esile Nicola è un agiato scrittore alla fine, a caccia di un’ultima buona occasione di scrittura. Ha ottant’anni e ha perso energie e competenze. Scrivere, che è stato il suo mestiere, gli riesce sempre più faticoso. L'epico vecchio di Hemingway, probabilmente un cinquantenne come lo era Hemingway all’epoca, ha energie e competenze da vendere, si batte per la sopravvivenza. Amo quella vecchiaia di una volta che fallisce non vinta, ma aderisco alla vecchiaia di Nicola, la sento più vicina.
È severo con sé, o per quello che gli altri si aspettano da lei?
Scrivere richiede energia inventiva, forza espressiva. Se questo non c’è, i libri perdono presa, le parole non fanno attrito.
E che cosa la porta ancora a scrivere? I soldi?
Ho avuto un lavoro – anzi dei lavori – che mi hanno dato da vivere, e quindi non ho mai pensato che scrivere fosse un mestiere. Scrivere è una passione che riempie la vita, che diventa un’abitudine del corpo, una dipendenza. Smettere di scrivere combacia con l’idea che la vita è finita.
Meglio i soldi o l’autorevolezza?
I soldi non sono mai stati l’obiettivo della mia esistenza. Quando ci sono, mi piace rendere felice le persone a cui voglio bene, sodisfare i desideri di figli e nipoti.
Che cosa insegna ai suoi nipoti?
Che serve qualcosa che ci appassioni, un polo forte di interessi, un'attenzione non distaccata al mondo, alla condizione umana, agli altri.
La politica?
Per me dai vent’anni in poi è stata importante. Oggi non più con la furia di una volta.
C’è un suo libro che rinnega?
No. Tutto quello che ho scritto è parte di me.
Ha un preferito?
I libri che hanno consenso di pubblico e critica sono quelli che noi scrittori amiamo di più, per cui sono contento della buona riuscita di Via Gemito e di Lacci. Ma sono affezionato anche a quelli di cui ci si è accorti poco come Spavento, Autobiografia erotica di Aristide Gambia e Prima esecuzione. I libri sono organismi vivi e quando li vedi smaniare senza ottenere attenzione, soffri con loro.
Il suo prossimo libro sarà su un adulterio. Ho letto da qualche parte che la coppia per lei è il male. Perché?
Nella coppia e nella famiglia c’è un tale groviglio di problemi che finiscono per riassumere tutto il piacere, il disagio e le sofferenze della condizione umana. È il luogo dell’amore e degli odi, dei sotterfugi, delle furie.
Un consiglio?
Partire dall’assunto che l’altro non lo conosceremo mai davvero. Allora non si avranno delusioni, e non si pronunceranno frasi come: credevo di conoscerlo e invece.
Che cosa avrebbe voluto dire ai suoi colleghi che si è tenuto per sé?
Il mio errore, forse, è stato che per sentirmi autorizzato a scrivere ho deciso parecchi decenni fa, lucidamente, di abbassare le mie ambizioni. Ma non si fa granché di buono se ad ogni rigo non si punta molto, molto in alto. Bisogna conservare fino alla fine la sfrontatezza adolescenziale delle grandi ambizioni.
Se potesse rivivere un giorno della sua vita quale sarebbe?
I giorni magnifici sono quelli in cui ci si scopre innamorati o, che so, quando nasce un figlio. O quando si finisce un libro e per 25 minuti si è contenti. Sì, più che un giorno, 25 minuti.
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