Nel messaggio agli artisti del 1965 il papa scrisse che il «mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non cadere nella disperazione». Vent’anni prima era giunto a Roma il pensatore francese, ambasciatore di Francia presso la Santa sede, nominato da Charles de Gaulle. Storia di un’intesa che ora trova un’eco in una piccola e raffinatissima mostra ai Musei Vaticani
Una china acquarellata su carta dai colori tenui e soffusi: il disegno, dai tratti appena accennati, evoca l’apparizione di un essere misterioso davanti al sepolcro vuoto di Cristo narrata dagli evangelisti Matteo e Marco. Quest’ultimo, il più scarno, mette in bocca al giovane (un angelo, secondo Matteo) alcune sbalorditive parole rivolte alle donne giunte fino alla tomba: «Voi cercate Gesù il nazareno, colui che è stato crocifisso. È risorto, non è qui».
Eseguita probabilmente nel 1926, l’opera, tanto eloquente quanto poco appariscente, costituisce la chiave di una piccola e raffinatissima mostra appena inaugurata ai Musei vaticani. L’autore, Jean Cocteau, dedica il disegno a Jacques e Raïssa. Sono i coniugi Maritain, e proprio in casa loro l’amico ha incontrato il religioso che gli è stato vicino nel cammino concluso l’anno precedente con l’entrata nella chiesa cattolica. A certificarlo, sul cartone di supporto, è una scritta a matita, forse di Gino Severini, che spiega l’opera di Cocteau come «rappresentazione simbolica della sua conversione».
Il disegno di Cocteau
Jacques Maritain terrà il disegno con sé fin quasi alla morte quando nel 1972, vedovo da dodici anni ed entrato a Tolosa nella comunità dei Piccoli fratelli di Gesù, deciderà di donarlo a Paolo VI. A sua volta il papa non si separerà più dall’opera, simbolo di un itinerario culturale e religioso del quale lo stesso Montini – insieme appunto a Maritain, ad artisti e ad altri pensatori – è stato protagonista appassionato in un processo di ricerca artistica che ha attraversato gran parte del secolo scorso.
Alcuni risultati di questo vivace rinnovamento sono nella mostra vaticana, dove fino al 20 settembre vengono esposte 36 opere – scelte da Micol Forti con l’aiuto di Francesca Boschetti e Rosalia Pagliarani (che scrivono nel piccolo catalogo introdotto da Barbara Jatta) – di Ugo Attardi, Severini, Alfred Manessier, Georges Rouault, Marc Chagall, Henri Matisse, Lello Scorzelli, William Congdon, Jean Guitton. In un contesto unico, compreso nell’itinerario dei musei: quello degli ambienti della massiccia Torre Borgia nel cuore dei palazzi vaticani.
Non si poteva trovare luogo più adatto perché proprio nella torre, affrescata da Pinturicchio, è da oltre mezzo secolo sistemata la Collezione d’arte religiosa moderna e contemporanea, nei pressi della Cappella Sistina. Luogo, quest’ultimo, «di grandezza ideale e di bellezza estetica, che ancora forma e formerà, finché i secoli ne rispetteranno la pur caduca materia, uno degli incantesimi più suggestivi e stimolanti dell’umana civiltà».
La collezione
A descriverla così è Paolo VI, che inaugura il 23 giugno 1973 la nuova collezione, uno dei lasciti più geniali e coraggiosi di Montini. Tra le 950 opere che in quel momento la costituiscono, alcune provengono da Maritain e dalla cerchia di amici che a lui e a Raïssa si ispirano; altre ancora sono offerte al papa dagli artisti stessi. Oggi la collezione – arricchita da continue donazioni – è quasi decuplicata.
All’origine vi è il lontano incontro tra il filosofo francese e Montini, circostanza che si rivelerà cruciale. Jacques Maritain, educato protestante, e Raïssa Oumançoff, di famiglia ebrea russa, si conoscono giovanissimi alla Sorbona nel 1901. Tre anni dopo si sposano, scoprono l’opera dello scrittore Léon Bloy e nel 1906 vengono battezzati.
Loro padrino è appunto l’autore che Borges inserirà nella sua «Biblioteca di Babele» edita da Franco Maria Ricci. «Non è improbabile che gli storici del futuro lo vedano come un mistico; noi, anzitutto, vediamo lo spietato libellista e l’inventore di racconti fantastici» scrive nelle pagine introduttive lo scrittore argentino cogliendo i tratti più caratteristici di Bloy.
Nel giro di un quindicennio Maritain, pensatore esigente che scopre Tommaso d’Aquino, diviene una figura centrale negli ambienti del cattolicesimo francese. Il giovane Montini per diversi aspetti lo considererà sempre come un «indimenticabile maestro» aperto alle «esigenze culturali e spirituali» contemporanee – così lo ricorderà dopo la morte – e ne legge a fondo le opere, arrivando trentenne a tradurne personalmente il libro sui «tre riformatori», cioè Lutero, Cartesio, Rousseau.
Maritain a Roma
Giunto a Roma una prima volta nel 1918 per perorare la causa delle controverse apparizioni mariane a La Salette, nelle Alpi francesi, Maritain tornerà più volte nella città eterna. Fino a restarvi dal 1945 al 1948 come ambasciatore di Francia presso la Santa sede, nominato personalmente da Charles de Gaulle subito dopo la liberazione.
Questo periodo, non lungo ma cruciale, è ora ricostruito a più voci in un importante libro curato da Augustin Laffay (Les Maritain et Rome, Salvator) che illumina l’attività e le relazioni del pensatore francese. Sempre apprezzato da Montini – già da anni ai vertici della Segreteria di stato – ma in un contesto non facile, per la diffidenza di non pochi esponenti conservatori della curia pacelliana, che nel 1954 otterranno l’allontanamento dello stesso prelato bresciano. Montini viene nominato arcivescovo di Milano, la più grande diocesi del mondo, ma sarà soltanto Roncalli, il successore di Pio XII, a crearlo cardinale e ad aprirgli così la porta del papato.
Le sensibilità di Maritain e di Montini si ritrovano anche sull’esigenza di un rinnovamento dell’arte sacra che, soprattutto negli anni tra le due guerre mondiali, impegna artisti in Francia, Germania, Italia, Belgio e Svizzera, nel contesto dei dibattiti delle avanguardie. Con risultati importanti: dai cicli decorativi di Severini in Svizzera e per la cattedrale di Cortona, sua città natale, a molte opere di Chagall, con il quale Raïssa pubblica un libro illustrato dai suoi disegni. E dell’artista ebreo sono esposte una crocifissione contemplata da lui stesso (Le Christ et le peintre) e una deposizione (Pietà rouge) che nel 1951 e nel 1956 ricreano meravigliosamente esempi rinascimentali e barocchi.
Il messaggio del 1965 agli artisti
Al 1951, lo stesso anno in cui Matisse completa la Cappella del Rosario a Vence, in Provenza, risale una coloratissima opera realizzata da Rouault per la cappella dell’eremo di Notre-Dame-des-Voirons, nell’Alta Savoia. È lo sportello del tabernacolo, luogo della presenza dove «Dio dà appuntamento a chi, dopo aver bussato alla porta, accetta l’invito a conversare con lui, “come uno parla con il proprio amico”» commenta Laffay con le parole dell’Esodo (33,11) lo smalto dell’artista dove spicca il cuore di Cristo.
Già vent’anni prima Maritain aveva registrato una nuova presenza del culto eucaristico accostato alla devozione del Sacro Cuore: «La festa del Corpus Domini [celebrata oggi in Italia] non è forse la grande festa moderna della chiesa?». Concludendo nel 1965 il concilio, Paolo VI nel messaggio agli artisti scrive che il «mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non cadere nella disperazione». Agli uomini del pensiero e della scienza il papa aveva poco prima offerto «la luce della nostra lampada misteriosa, la fede», e tra i rappresentanti ai quali affida il messaggio c’è Maritain.
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