L’artista che firma la cover di ottobre del nostro inserto Finzioni, disponibile da sabato 11 ottobre, racconta il rapporto tra arte e politica secondo lui: «Di vignette ne faccio almeno una al giorno, perché è diventato un modo per reagire al sentimento che mi suscita la lettura o l’ascolto di una notizia»
La cover dell’inserto Finzioni di ottobre è stata realizzata da Francesco Chiacchio. Francesco Chiacchio è nato a Fiesole, vicino a Firenze, artista capace di trasmettere il profondo legame tra bellezza, ironia e complessità della vita. Illustratore e vignettista, negli anni ha lavorato attraversando diversi mondi artistici: libri, dischi, manifesti e testate giornalistiche, collaborando con case editrici come Orecchio Acerbo, Topipittori, Rizzoli Lizard, Salani, Combel Editorial, ma anche con La Repubblica, Internazionale e The New York Times. Tra il 2010 e il 2012 ha illustrato le pagine culturali de La Repubblica Firenze e collabora attualmente come vignettista per Internazionale.
Dal suo lavoro emerge una passione tanto per il disegno che per la parola, crea quindi una fusione il cui risultato sono solo invita alla riflessione ma spesso anche ad una buffa e spontanea risata.
Da fuori sembra che lei abbia una creatività incontenibile. Immagino fogli su fogli di vignette, illustrazioni, pensieri. È davvero così?
Sì, in parte, anche se non è sempre così. Cerco di stare sempre sul pezzo, come un compositore al pianoforte. Però può capitare di attraversare periodi di pagine bianche, di deserto, allora insisto e di solito accade qualcosa. Quando invece non succede niente, allora esco. Porto con me un quaderno e provo a disegnare quello che vedo. È la porta che mi permette di uscire da me stesso, quando l’interno si fa stretto, e ho bisogno di confondermi col mondo. È l’uscita d’emergenza, tra l’interno e l’intorno. A volte una visione, delle parole rubate ai passanti, possono essere una chiave di svolta.
Nei suoi lavori tornano spesso temi politici e diritti sociali. È qualcosa che c’era fin dall’inizio o è arrivata in un secondo momento?
È un aspetto che si è intensificato negli ultimi anni e sicuramente ha contribuito l’impegno che ho con Internazionale, ovvero quello di dover disegnare ogni settimana una vignetta sull’attualità per la loro newsletter. Questo appuntamento mi obbliga a confrontarmi costantemente con ciò che accade nel mondo, e la mia testa si sta abituando al tentativo di provare a tradurre un accadimento in un disegno sintetico.
Così finisce che di vignette ne faccio almeno una al giorno, perché è diventato un modo per reagire al sentimento che mi suscita la lettura o l’ascolto di una notizia. Negli ultimi due anni poi, mi è sembrato naturale e importante che in particolare il genocidio di Gaza entrasse nei miei disegni. È una tragedia talmente enorme da occupare gran parte dei miei pensieri.
Inoltre è nato un bel rapporto con Oxfam Italia, con cui ho sviluppato alcuni progetti che mi hanno dato la possibilità di aprire lo sguardo su storie umane importanti, dalla Palestina al Sud Sudan. Penso che il disegno possa essere uno strumento forte d’indagine e conoscenza, di racconto. E dunque non riesco a tirarmi indietro, se ho uno strumento provo a usarlo il più possibile per far arrivare ad altre persone un’idea di giustizia.
La sua arte comunica così tanto con poche linee. Come riesce a tradurre il mondo in segni così essenziali?
Sono cresciuto amando artisti che sanno raccontare attraverso il segno, penso a Saul Steinberg, Claire Bretécher, Copi… mi interessa molto la sintesi che contiene la complessità. Qui a Barcellona vado spesso a vedermi l’ultima sala del Museo Picasso, dedicata alle tele che indagano l’opera de Las Meniñas di Velázquez. Picasso la scompone, ne studia i soggetti in maniera ossessiva attraverso la pittura, fino ad ottenere dei capolavori di sintesi. Quella sala per me è una scuola. Nel mio libro A volte sparisco, uscito per i Topipittori, ho provato a mettere in pratica la lezione di sintesi di questi maestri giganti. Sia chiaro, ci ho provato, questo non vuol dire che ci sia riuscito!
Il tema della cover di Finzioni è “Il cibo come strumento per ricordare”. Come lo ha interpretato nella sua illustrazione?
Il personaggio che ho disegnato ha in mano una fetta di cocomero, simbolo della resistenza palestinese. In questo caso il cibo diventa simbolo e memoria di un popolo, attraverso i colori della sua bandiera, che coincidono con quelli del frutto. La fetta di cocomero nel mio disegno diventa uno spicchio di luna, la stessa che indica il saggio. Il mio personaggio non guarda il suo dito, non si confonde, e punta lo sguardo dritto alla luna.
Come si approccia al confine tra illustrazione per bambini e illustrazione per adulti? Esiste davvero un confine?
In entrambi i casi inseguo il piacere e il divertimento che mi procura il disegno. Dentro ognuno di noi convivono un bambino e un adulto, e io cerco sempre di interrogare entrambi. In questo senso, trovo emblematica una fotografia di Saul Steinberg dove è ritratto per mano a se stesso bambino. È quello che cerco di fare sempre nella vita e nel lavoro.
Ci racconti dei suoi prossimi progetti o pubblicazioni.
Il progetto che mi si prospetta davanti più importante è quello di trovare un nuovo spazio di lavoro, uno studio a Firenze. Tornerò a vivere lì da questo inverno e la ricerca non è semplice. Ma sarà lo spazio che accoglierà tutte le prossime visioni e idee che mi accompagneranno per i prossimi tempi. Ne approfitto per lanciare un appello anche da queste pagine: se vorrete vedere miei nuovi progetti, aiutatemi a trovare uno studio!
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