Nel 2023 sono stati consumati in Turchia in media 12,9 kg pro capite di legumi. Niente male per degli ingredienti che, solitamente, sono percepiti in secondo piano rispetto ai piatti di carne. Rappresentano invece la cura dell’altro, la condivisione e la traccia vivente di un’eredità, come racconta Özlem Warrem
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani e in edicola
Ellerine sağlık significa siano benedette le tue mani, per essersi prese cura di noi attraverso il cibo che si sta mangiando. Fa parte di quei codici non scritti che è possibile comprendere veramente solo una volta che si arriva in Turchia, quando si entra in nuove cucine e ci si ritrova a tavole con le famiglie. È la traduzione verbale e materica dei sentimenti che si provano dopo un ritorno, quando ad aspettarti c’è un piatto concepito come ristoro. È quel modo per dire: bentornato, ti pensiamo. Afiyet olsun, quindi, che questo piatto ti faccia bene.
Questa benedizione, a parole, capita di dedicarla alle mani di chi cucina nei ristoranti a conduzione famigliare, a quelle dei venditori di tè e peperone essiccato lungo le autostrade. Nelle case racconta dei piatti quotidiani a base di verdure e legumi che vengono serviti con la felicità dei giorni di festa. Se gli ingredienti possono essere linguaggio, legumi e verdure parlano di come prendersi cura degli altri coi modi semplici di una zuppa. Un pugno di lenticchie rosse e poche spezie, da condire con qualche goccia di limone e della menta secca prima di mangiare. Quanto basta per preparare una mercimek çorbası che può consolarti e, perfino, proteggerti.
Memoria umida
Al legame fra vegetali, famiglia e cura reciproca Özlem Warren, cuoca e autrice originaria di Antakya, ha dedicato il suo secondo libro Sebze, la parola turca usata per verdura.
Si tratta di un ricettario da leggere come un tentativo di preservare il patrimonio della cucina vegetale della Turchia attraverso le ricette depositate dalla tradizione e reinterpretate dalla sua famiglia, che permettono a Warren di intrecciare il cibo ai ricordi: «Nella nostra cucina le zuppe vengono generalmente associate a qualcosa che ti fa stare bene, al benessere e alla cura, per le proprietà nutritive dei legumi e, allo stesso tempo, per il conforto che portano. Quando cresci con questa idea ti rendi conto che per essere così non è necessario che sia complicato. Certo, ritrovarsi a cucinare mantı (la tradizionale pasta ripiena, NdR) per ore è un momento stupendo ma anche pochi ingredienti e poco tempo sono in grado di trasmettere lo stesso sentimento. Ricordo che quando i miei genitori sono venuti entrambi negli Stati Uniti dove vivevo ed erano appena nati i figli, mia madre non ha mai smesso di cucinare. Preparava il pranzo, la cena, lasciando il freezer pieno di cibo. Era il suo modo di dire sono qui per te, per comunicare che teneva a noi e voleva che stessimo bene».
L’importanza dei legumi nel pasto turco ricorre in tutta la sua concezione perché sono gli ingredienti che lo avviano, come una zuppa d’entrèe pensata per aprire lo stomaco. Diventano i rassicuranti contorni che ne accompagnano lo svolgimento, una meze dopo l’altra, e lo completano mescolandosi alle portate di carne e nei ripieni. I legumi sono le tracce più antiche di questa parte di terra e prodotti vitali per l’agricoltura nazionale con oltre 9 milioni di ettari coltivati su un totale di 24, secondo i dati diffusi dal Ministero dell’Agricoltura.
Nel 2023, ha stimato il Consiglio nazionale dei legumi di Turchia (UBK), la media dei consumi pro capite è stata di 12,9 kg, niente male considerando che nel mondo, in media, se ne consumano intorno ai 7,9 kg, sempre dalle rilevazioni di UBK. Questi dati mostrano la loro centralità nella gastronomia turca, soprattutto per ingredienti che, solitamente, sono percepiti in secondo piano rispetto ai piatti con proteina animale. Mentre spiedi e spade sembrano dominare ogni attenzione in fatto di cibo, i legumi in Turchia conservano storie e formano ricordi.
«È innegabile l’importanza della carne nei piatti turchi, ma l’Anatolia è da sempre ricca di grano e legumi e, questo, si è radicato profondamente nelle nostre abitudini», racconta Warren, «È una delle ragioni che hanno ispirato Sebze, volevo fornire ricette che fossero accessibili e utili a tutti, con un’eredità e storie personali da raccontare. Le ricette sono più che semplici istruzioni, sono la possibilità di ristabilire un collegamento con le proprie radici attraverso la cucina e trasmetterlo alle persone. I miei figli ricordano ancora che, quando tornavamo in Turchia, la loro nonna li accoglieva con un piatto di Ezo Gelin, la zuppa tradizionale di Antakya a base bulgur, lenticchie, spezie and olio d’oliva. Era il suo modo per dargli un benvenuto caloroso. Sono questi i momenti di condivisione che trovo speciali e che poi cerchiamo di replicare per mantenere viva la memoria».
Un caloroso benvenuto
Nelle ricette e nei ricordi che Warren riporta in Sebze, viene esplorato anche il significato della condivisione e della naturalità con cui un pasto può essere occasione comunitaria: «Quando ero piccola mio nonno Suphi andava ai mercati agricoli di Antakya, chiacchierava con i venditori della zona e della vicina Siria e rientrava a casa con casse piene di fichi, ceci e fagioli che avrebbero costituito i nostri pasti», conclude Warren, «Sono cresciuta in questa abbondanza di materie prime, con mia nonna che guardava ciò che era stato acquistato al mercato e lo distribuiva tra noi e i miei zii. Nella mia famiglia si è sempre pensato che il cibo, quando viene condiviso, acquisti un sapore migliore. Per questo lasciamo un piatto in più. È un gesto d’amore verso la comunità, significa ci tengo, rimani a mangiare e condividi con noi questo momento».
Più che pretesto, questo senso di comunità, fa parte del campo di possibilità e azioni semplici che il pasto permette di far avvenire. È qualcosa che accade naturalmente attorno a un piatto di fagioli in umido con sommacco e cipolle, che vengono serviti insieme alle köfte sulla strada, o in quelli serviti direttamente dalla pentola con un velo di pomodoro e concentrato di peperoni. È quella somma a cui ogni partecipante contribuisce intingendo il pane nel piatto posizionato al centro, per inumidirlo con i liquidi lasciati dalla cottura, sentirne il sapore e, poi, sorridere mandandolo giù.
© Riproduzione riservata