«Sono un’adolescente che prende il sole da sola sulla spiaggia. Un uomo con una macchina fotografica si avvicina e mi chiede se può farmi una foto. Poi inizia a spalmarmi la crema abbronzante sulle gambe e poi tra le cosce. Non so come dire di no».
«Mentre sono all’università, le studentesse iniziano a scrivere i nomi dei loro molestatori nel bagno della biblioteca. La “lista degli stupri” diventa una notizia a livello nazionale. Sono grata che la vicenda non mi riguardi direttamente».
«Studio Storia delle donne e dell’isteria nello stesso semestre in cui la mia compagna di stanza al campus, pittrice e matematica, ha un episodio bipolare. La seguo in un ripostiglio nel seminterrato del nostro dormitorio, prendiamo una scopa a testa e facciamo a pezzi le finestre antisfondamento. Io nuoto e faccio pesi. So come rompere una finestra e mi fa sentire bene».

Inizia così il testo che la fotografa americana Carolyn Drake, membro della mitica Agenzia Magnum, ha scritto per accompagnare le immagini di Men Untitled, il nuovo lavoro pubblicato da TBW Books e ora in mostra alla Fondazione Henri Cartier-Bresson di Parigi. Si tratta, in gran parte, di ritratti di uomini vestiti, seminudi e nudi o di parti del loro corpo. La sequenza è straniante. I soggetti sono tutti immortalati in posizioni innaturali, a volte bizzarre.

Uno di loro arranca in una pozza di fango, un altro, di spalle, seduto per terra, solleva una sedia tenendola per una gamba. Vediamo la pancia di un quarantenne stretta da una grande morsa industriale. Un ercole nudo sorregge un tronco d’albero. Il torso pallido di un vecchio dalla pelle grinzosa è attraversato dalla linea di una vena azzurra, lo stesso colore di un tatuaggio che si affaccia dal bordo dell’inquadratura. Un uomo si nasconde dietro a un pezzo di cartone, da cui fuoriesce, da un foro, il suo membro circonciso. La sequenza è intervallata da immagini enigmatiche, a volte simboliche, a volte evocative. Fucili, spade, calchi di sculture misteriose. Un serpente. Una fiamma.

Creare un immaginario nuovo

«È un lavoro che nasce da una rabbia che mi porto dentro. Per vicende personali, ma anche per la deriva che vedo prendere all’America. Dopo dieci anni vissuti a Istanbul, sono rientrata proprio nell’anno in cui è nato il movimento Me Too, sono arrivati Trump, il Covid e Black Lives Matter», spiega Drake. «Ma non è solo questo. Io ho fatto parte di quelle artiste che si sono concentrate sul tema delle donne. Ma quello degli uomini, del corpo maschile, sembrava essere off limits per noi. Nella storia dell’arte è sempre la musa femminile a essere indagata dallo sguardo maschile».

L’artista, all’inizio, pensa di tornare a lavorare nel villaggio del Midwest dove aveva realizzato il suo libro precedente, Knit Club (TBW Books, 2020), che ruota attorno a un gruppo di donne e sul loro incontrarsi misterioso, ma concentrandosi sulle figure maschili. Pensa al rapporto con gli oggetti, con i luoghi di lavoro, con il paesaggio. Ma questo non avrebbe portato alla creazione di un nuovo immaginario.
Un approccio del genere poco si sarebbero discostato da quello di un lavoro documentario sulla presenza umana in un certo luogo. «A me interessava qualcosa di diverso. Così ho iniziato a isolare le figure dal contesto, utilizzando qualche volta degli sfondi. Ma, ancora, non trovavo quello che mi interessava. Era come se non riuscissi a scoprire la vulnerabilità dei miei modelli. È lì che ho pensato che, se avessi chiesto loro di togliersi i vestiti, qualcosa di interessante sarebbe accaduto».
Alcuni di loro accettano senza inibizioni, altri a certe condizioni o dopo molte ore di interazione, qualcuno rifiuta con un sorriso. Drake ha in mente l’immaginario di Ernest Joseph Bellocq che, a inizio Novecento, aveva ritratto le prostitute di New Orleans.

Ritratti non canonici

C-Clamp (Bill) di Carolyn Drake

Ma il risultato è qualcosa di non canonico: non si tratta dell’equivalente del nudo femminile realizzato da uno guardo maschile. «Ho iniziato a guardare al tipo di fotografia del passato che mi interessava. Non desideravo realizzate il tipo di immagini che detesto. All’inizio era come se emulassi l’approccio omoerotico, fotografavo uomini dal corpo bellissimo. Ma non funzionava. Ciò che ottenevo non era né omoerotico né quello che andavo cercando». Carolyn è una donna eterosessuale che ha superato i 50. Ci tiene a sottolineare che quel tipo di ricerca non era aveva un interesse erotico, tanto che nel lavoro, a intrigarla di più, sono stati i corpi segnati dal tempo.
Insieme a essi, l’artista ha deciso di mostrare immagini di sculture, piccoli bassorilievi, matrici di calchi: tutti manufatti che cercano di riprodurre fedelmente forme di oggetti. «La fotografia trasforma qualcosa di tridimensionale in una realtà bidimensionale. Inserire nella sequenza questo tipo di scatti, che sono fotografie di sculture, per me voleva dire mettere a tema il significato della rappresentazione».
Si tratta, di fatto, di metafore che evocano il modo in cui genere e corpo vengono concepiti e percepiti attraverso rappresentazioni culturali che, in qualche modo, appiattiscono la realtà che cercando di descrivere.

«Ciò che ha fatto la differenza, alla fine, è la sensazione di connessione con i soggetti che hanno lavorato con me. Si è creato un legame umano che è stato possibile stringere grazie alla dinamica del lavoro fotografico. Così, quella rabbia sociale iniziale che, in fondo, volevo sfogare su di loro, si è sciolta ed è diventata empatia». Non è un caso che Drake abbia dedicato il libro proprio a uno dei suoi modelli: «Alla memoria di Wallace (1957-2022), a cui era stata promessa la doppia pagina centrale».
Se si va a vedere, la parola è stata mantenuta: al centro del libro vediamo il vecchio Wallace appeso a testa in giù in quella che sembra la sua officina. Ha le braccia allargate, la pancia scoperta e la lunga barba che gli cade sul viso. Ma l’artista, in coda, ricorda anche tutti altri modelli: «Agli amici e agli estranei ritratti va la mia gratitudine per la vostra disponibilità a giocare con me, per gioia, curiosità o esasperazione».

Un approccio ludico

Giocare. Che bella parola. Ma l’approccio ludico sembrerebbe poco appropriato alle premesse politiche, psicologiche ed esistenziali di questo lavoro. Il processo di invecchiamento che sta attraversando, spiega la Drake, sta avendo su di lei conseguenze non solo fisiche, ma sta agita qualcosa anche nel profondo, che ha a che fare pure con la fotografia.

«Sono vicende di cui sento il peso. E in tutto ciò che faccio, cerco una sorta di sfogo. E è da qui che nasce la sperimentazione. Per arrivare a qualcosa che assomiglia a una gioia o a una liberazione. Così, anche questo lavoro è diventato un gioco, non nel senso della competizione, ma dell’interazione». Si tratta di una dinamica che ha seguito un processo di spoliazione dei costrutti culturali che delimitano l’idea di mascolinità, che si è creata per sedimentazione di comportamenti ripetuti in modo meccanico.
«Spogliare i corpi ha significato spogliare me stessa dei pregiudizi. Non tutto è un costrutto culturale, ma lo è la gran parte delle cose che noi diamo per scontate. Quando ho iniziato a far togliere gli abiti, quello che è rimasto davanti a me sono stati corpi vivi dentro la dimensione del tempo, corpi come il mio. Mi verrebbe da dire, che l’autorità di essi si è dissolta quando mi sono preso la libertà di guardarli».

Se le si chiede se questo lavoro sia stato una sorta di percorso di guarigione, Drake risponde che sì, in un certo senso è stato il modo per affrontare il proprio sentimento di rabbia culturale, non solo di stampa femminista. «Volevo sfogarmi su questi uomini, che rappresentavano la cultura del patriarcato. Ma ho finito per domandarmi come si faccia a separare la cultura dai singoli individui. Ho conosciuto persone che sono state generose con me eppure, allo stesso tempo, esiste un sistema ingiusto. È un dilemma che per me rimane intatto».

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