Era il marzo del 2020, all’inizio del Grande Lockdown. Fuori dalle finestre ancora il buio dell’inverno. Nelle case, davanti ai televisori che ogni sera dettavano il conteggio delle vittime, ancora più buio. A molti, se non a tutti, sembrava davvero la fine del mondo, e la speranza era merce rara. Io avevo pubblicato da poco L’angelo di Monaco, un thriller storico che parla di tempi altrettanto cupi, quando un amico che l’aveva letto e apprezzato mi girò un breve filmato con questo commento: «Una storia per te». Incuriosito lo aprii, e sì, era davvero una storia per me, e proprio per quel momento terribile che stavamo vivendo. Una storia di speranza in mezzo alla disperazione.

Nel 1988 la Bbc trasmetteva un programma intitolato That’s Life, “Così è la vita”, che raccontava grandi storie dimenticate, ricongiungimenti famigliari e piccole vicende di quotidiana meraviglia. Una specie di C’è posta per te in salsa inglese. In una puntata invernale Esther Rantzen, la conduttrice, invitò un simpatico vecchietto di nome Nicholas Winton e lo fece sedere con qualche scusa in prima fila. Lui non aveva idea del motivo per cui si trovava in quello studio televisivo, e così fu molto sorpreso quando la conduttrice iniziò a raccontare la storia di un eroe dimenticato che cinquant’anni prima, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, aveva salvato 669 bambini praghesi dalle grinfie di Hitler. Mostrò anche una lista di nomi battuta a macchina, e ne lesse alcuni, tra cui quello di Vera Gissing. A quel punto la rivelazione: Vera Gissing era seduta in prima fila, proprio di fianco al suo salvatore d’un tempo.

Ora, il filmato è reperibile su Internet, basta scrivere “Winton” e “Bbc” per trovarlo, e va visto per capire l’emozione che strinse quel vecchietto gentile alle parole della conduttrice, all’abbraccio commosso di Vera. Ma era solo l’inizio. Con un mirabile colpo di teatro, Esther Rantzen spostò lo sguardo sulla platea e domandò: «C’è qualcun altro qui oggi che deve la sua vita a Nicholas Winton?». A quelle parole tutta la platea si alzò in piedi. Decine e decine di donne e uomini dai capelli bianchi che si misero ad applaudire l’uomo che mezzo secolo prima li aveva salvati. I bambini di Winton, come si fanno chiamare da allora.

Una speranza necessaria

Nel marzo del 2020 io non conoscevo questa storia, e scoprirla attraverso il filmato della Bbc illuminò la mia serata, riempiendola di una speranza necessaria. Iniziai a cercare su Internet tutto quanto riguardasse Winton, e scoprii con stupore che non si trovava quasi nulla: qualche foto, uno spezzone di cinegiornale, testimonianze sparse e assai lacunose, nessun romanzo, film o saggio dedicati alla sua storia. Com’era possibile? Poi capii che la domanda era mal posta, perché il tratto più straordinario non è il coraggio che portò un giovane broker londinese senza alcun legame con la Cecoslovacchia a dedicare tempo ed energie per salvare 669 bambini mai visti prima, quanto il fatto che compiuta l’impresa non ne parlò più con nessuno.

Se mezzo secolo più tardi la moglie Grete, all’oscuro di tutto, non avesse avuto l’idea di rovistare in soffitta tra le cianfrusaglie del marito e non avesse trovato la lista dattiloscritta dei bambini, Esther Rantzen non avrebbe mai raccontato la vicenda e oggi noi non ne sapremmo niente – così come non sappiamo quasi nulla della donna e dell’uomo a loro volta straordinari che posero le basi dell’impresa e la portarono a termine. Doreen Warriner e Trevor Chadwick: chi erano costoro? Noi viviamo in un tempo smemorato, tanto più incapace di ricordare quanti più potenti sono gli strumenti che ci consentirebbero di farlo. Non c’è nulla che una rapida ricerca sul web non possa restituirci, ma abbiamo così tanto da ricordare che ci dimentichiamo persino di cercare. Immersi in un rumore informativo costante, ha ragione chi teme che un giorno anche fatti terribili e imponenti come la Shoah possano diventare note a piè di pagina nei manuali di storia. Non siamo in grado di tenere a mente tutto, e finiamo per non tenere a mente niente.

Per questo non è raro imbattersi in incredibili storie dimenticate. Per questo è così importante tenerle ben strette e raccontarle a ogni occasione. Un anno fa, allo scoppio della guerra in Ucraina, i Grandi della Terra organizzarono una conferenza di pace internazionale a Monaco di Baviera. Proprio la città in cui ottantaquattro anni prima avevano organizzato un’altra conferenza per convincere Hitler a non scatenare la guerra. Forse dovremmo smettere di organizzare conferenze di pace a Monaco, dopotutto. Ma al di là della battuta, cosa abbiamo imparato da quei giorni del 1938?

Solo un romanzo

La storia di Winton inizia proprio lì. Per impedire il conflitto, o quantomeno per guadagnare tempo prezioso, Chamberlain e Daladier regalarono al Führer un pezzo di Cecoslovacchia, i Sudeti, che erano sì a maggioranza tedesca, ma contavano anche una cospicua minoranza invisa al Reich. Da un giorno all’altro decine di migliaia di profughi dovettero fuggire in Boemia, andando ad accamparsi nei boschi intorno alla capitale, in condizioni disumane. Tra loro, migliaia di bambini che rischiavano la morte per ipotermia, inedia e malattie senza che nessuno al mondo si curasse di loro tranne poche organizzazioni private.

La neonata Save the Children inviò in città Doreen Warriner, una giovane inglese che conosceva bene il ceco e che si vergognava a tal punto del ruolo britannico in quell’emergenza da voler mettere in piedi a proprie spese un programma di salvataggi via treno e via aereo. Dissidenti politici, giornalisti invisi a Himmler, ebrei… Chiunque fosse a rischio per l’imminente arrivo di Hitler veniva portato oltre confine, ma i soldi erano pochi, e i trasporti limitati, per cui potevano partire solo gli uomini, lasciandosi dietro le famiglie.

Quando Winton raggiunse Doreen, poco dopo il Natale del 1938, scoprì che dei bambini non si stava occupando nessuno, e decise di pensarci lui. Usando la sua concretezza da uomo d’affari ottenne liste di nomi gelosamente custodite dalle diverse associazioni, spesso in concorrenza fra loro; decidendo di pubblicare non solo i nomi dei bambini ma anche i loro visi, riuscì a convincere centinaia di famiglie inglesi ad adottarli; mettendo insieme soldi e contatti con grande spregiudicatezza poté organizzare una serie di treni che attraverso Boemia, Germania e Olanda arrivavano al mare, dove i piccoli viaggiatori venivano imbarcati per l’Inghilterra.

Poi, siccome non poteva rimanere a Praga troppo a lungo (dalla City gli scrivevano di continuo per convincerlo a rientrare, gli affari premevano), Winton affidò la parte più delicata dell’impresa a un maestro inglese che era venuto per adottare due bambini ed era rimasto per salvare tutti gli altri, Trevor Chadwick. Fu lui a preparare concretamente i treni, lottando contro il tempo e la Gestapo, preparando i soldi e le vettovaglie per i piccoli viaggiatori, arrivando persino a falsificare i loro visti. Un uomo semplice animato da puro altruismo.

E anche lui, come Nicholas e Doreen, una volta concluso il suo compito ritornò a casa e non ne fece mai menzione a nessuno. Una storia come questa non si può inventare. Ci si può scrivere un romanzo per diffonderla il più possibile (perché sono le piccole storie a far grande la Storia, è il racconto appassionato a tener vivo il passato), ma non c’è bisogno di cambiare alcun dettaglio per renderla più forte, più efficace, più memorabile. E non solo perché la realtà supera sempre la fantasia, ma perché la speranza ha una luce tutta sua, che vince ogni tenebra. Forse non impariamo mai nulla dalla Storia, e per questo, come diceva Churchill, siamo condannati a ripeterla. Ma le Warriner, i Winton e i Chadwick sono qui per insegnarci che qualcosa si può sempre fare contro i mali del mondo, e che vale la pena provarci, anche se non dovesse saperlo mai nessuno. Il romanzo che ho scritto è Se esiste un perdono, pubblicato ora da Longanesi.

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