Se la vita è un viaggio, e qualcuno deve già averlo detto, le occasioni sono treni. Treni che passano, una volta nella vita, due, nessuna. Bob Marley il treno voleva fermarlo, anche solo un attimo, per salirci e partire, perché i treni della speranza si spostano per il mondo, non sono diretti solo a Lourdes. C’è pure chi sul treno riesce a salirci, ma poi chiede di scendere, perché forse non ha alcuna voglia di viaggi e speranze, pensa solo di non essere sul treno giusto.

Non si riconosce mai il treno giusto, non quando è in partenza. Una volta all’arrivo, allora sì, diventiamo tutti bravi. Anche così prospera la perfidia del successo, quel ramo collaterale su cui nascono gli eroi sciagurati, i babbei che avevano il biglietto vincente e però l’hanno perso. Com’è possibile che del treno destinato alla gloria non si siano fidati, non abbastanza?

Prendiamo i quinti Beatles, a cui è mancata la pazienza per trattenersi, quelli che non avevano intuito l’avvenire della band più luccicante di ogni tempo. Ci sono stati anni in cui ne veniva fuori uno al mese, come le Anastasia Romanov. Il più popolare è stato Stuart Sutcliff: ad essere spietati, il primo dei fessi. Ma la classifica è ricca, a poche lunghezze si piazza Pete Best, il batterista che lascia il posto a Ringo Starr. Anche Pete scende in corsa dal treno, e mai si è capito se per scelta o perché spinto giù da John e Paul. E poi Billy Preston, George Martin e altri.

La tentazione del What If

È il successo che fa notizia, la parabola gioiosa di chi salta sul treno e viaggia sicuro, nobilitandosi il destino, ma pure il disegno bastardo del rimpianto stuzzica, piace molto la favola amara del “poteva essere e non è stato”, la vittoria buttata alle ortiche.

Per chi non è stato afflitto da beatlemania, Chas Newby è un nome poco noto, almeno qui in Italia. È appena morto, sul finire degli anni Cinquanta suonava con i Black Jacks, giovane band britannica in cui alla batteria sedeva proprio Pete Best. Chiusa una serie di concerti in Germania, un giorno ai Beatles occorre un bassista, non hanno più Stuart Sutcliff, che si è fermato ad Amburgo a riflettere, indeciso tra suonare il basso elettrico e dipingere espressionismo astratto. Pete consiglia di sostituirlo con Chas, John e Paul approvano e lo convocano, Chas accetta. Ora, se prendi il posto di Sutcliff su indicazione di Best, la probabilità che apparterrai alla squadra dei quinti Beatles devi immaginarla. Resta col gruppo per i concerti previsti lungo tre settimane, poi molla. “Vai via? - gli chiede Lennon - non verresti con noi per una seconda tournée in Germania?”. Il giovane Newby ringrazia e lascia, non ha il coraggio di rispondere che “diventerete pure gli immensi Beatles, ma per adesso pagate veramente poco”.

Un errore fatale, certo, ma chiediamoci cosa diremmo a un diciannovenne in bilico tra serate con gli amici della band pop rock e il corso universitario in ingegneria chimica. A meno di non sospettare di essere il papà di Mozart, gli diremmo di pensare alla laurea, lo studio prima di tutto. Così fa Chas, prende la laurea e un master, si costruisce una lusinghiera carriera da ingegnere. Spende poi una parte dei suoi anni successivi a tentare di convincere chi dà per scontati i suoi rimpianti: “Nessuno mi crede, ma non conservo nessun rimorso. Ho vissuto solo venti giorni da Beatles, e non so se sarebbe durata, ma la vita ho potuto godermela lo stesso”.

Le occasioni perdute

Non è un quinto Beatles anche Mariotto Segni? “Ha l’Italia in pugno”, si diceva di lui nel lontano 1993, eppure in un attimo passa dal trionfo al referendum che trasforma il paese alla fondazione del Patto Segni, col quale rapidamente organizza il proprio tramonto. Dove abbia sbagliato, cosa non abbia compreso per conservarsi il successo, è materia oscura. La questione non è nemmeno legata all’esperienza, anche se è inevitabile pensare che questi addii, queste rinunce tanto sfortunate siano il frutto dell’ingenuità. È che proprio il destino non puoi leggerlo prima. Gary Cooper pare fosse anche seccato quando rifiutò il ruolo di Rhett in Via col vento. “Sarà un enorme flop”, è la frase che lascia ai produttori e alla storia, e con cui oggi la storia si fa quattro risate.

Se mister Newby poteva essere bravino col basso, monsieur Humblot è un esperto nel campo dell’editoria, nella sua veste di direttore di Ollendorff. Teniamoci stretti il nostro senno di poi, e prendiamoci gioco anche di lui. Proust si rivolge a Humblot per farsi pubblicare la Recherche e lui butta giù due righe di giudizio. "Proprio non capisco come un tizio possa impiegare ben trenta pagine per descrivere come si giri e rigiri nel letto”. Fa bene a scriverla, quella testimonianza gli riserva un posto nella storia di coloro che un giorno alla fermata del treno c’erano e il treno non l’hanno preso. Si può sperare che ripassi, ma aiuta poco, non sapremo mai se è quello giusto.
 

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