Soldi. Potrebbe essere questa la parola appuntata più spesso leggendo l’ultimo libro di Elisabeth Åsbrink, scrittrice e giornalista svedese che si confronta con la vita di Victoria Benedictsson, sconosciuta in Italia perché mai tradotta, e protagonista in Svezia del dibattito letterario sulla morale che nella seconda metà dell’Ottocento contrappose conservatori a modernisti.

Il mio grande, bellissimo odio è il titolo che si riferisce alla rabbia di cui Benedictsson si servì per costruire, da autodidatta e moglie e madre che le convenzioni volevano confinata in casa, una competenza e una voce con cui conquistare spazio, fama. E soldi.

«Il giorno in cui le donne potranno mantenersi da sole cambierà tutto! La morale, la sessualità, l’integrità». Viene voglia di invitarla a bere un caffè e discutere dell’Italia di oggi, dove: lavora appena poco più della metà delle donne (erano il 52,5 per cento nel 2023 secondo il Rendiconto di genere presentato dall’Inps lo scorso mese di febbraio); le famiglie più a rischio di povertà sono quelle in cui, tra le cosiddette monogenitoriali (11per cento del totale) l’adulto di riferimento è la madre (8 volte su 10 è questo il caso, dati Openpolis del maggio 2024 riferiti al biennio 2021-2022); le donne senza un conto corrente sono il 37 per cento (il dato si riferisce al 2019 ed è del Museo del risparmio di Torino). Numeri che farebbero probabilmente sgranare gli occhi a quella svedese vissuta più di 150 anni fa.

Una storia vicina

Ci si può ritrovare ad appuntare sul libro (pubblicato in Italia da Iperborea, tradotto da Katia De Marco) la parola "soldi” dopo essersi accorte che, mettendo a fuoco questo elemento, la storia di Benedictsson non è poi così lontana dal nostro qui e ora.

Seguire le tracce di quella parola è uno dei percorsi possibili per provare a capire una donna che si diede un destino e costruì per sé una vita non prevista per una bambina nata in un podere della Carnia e che forse soffrì sempre del senso di colpa di essere sopravvissuta al fratello Johannes, morto all’età di 12 anni, quando lei ne aveva appena uno. «In una società dove i diritti sono concentrati in mani maschili, la perdita di un figlio maschio è un colpo incredibilmente duro». E, infatti, la perdita dell’unico erede «fu una catastrofe che ne provocò un’altra. Il padre trascurò la fattoria e le finanze di famiglia, e dieci anni dopo la bancarotta fu inevitabile».

Soldi  – non a caso – è anche il titolo del romanzo di esordio di Benedictsson («un esempio di come lei costruisca un testo a partire dalla sua vita») che si firmava Ernst Ahlgren e aveva l’ambizione di «pensare come un uomo, sapere quel che sa un uomo, capire il mondo come un uomo» ma viveva in una società in cui «i vantaggi e le libertà di cui godono gli uomini» erano «fuori dalla portata di una donna». E anche i soldi che guadagnavano. Un «ricco patrimonio» era ciò che poteva permettere di «uscire dai canoni convenzionali della vita femminile, rigidamente regolati da valori conservatori».

Le tappe di Benedictsson

Soldi, Benedictsson non ne aveva. Poteva puntare sull’altra strada, quella che richiedeva «un grande coraggio e una straordinaria forza d’animo» e così fece, ma nella prima parte della sua vita capitolò in tre tappe: 1) tentò di studiare pittura (nel 1867 chiese al padre il permesso di iscriversi all’Accademia di Stoccolma, che tre anni prima aveva aperto una Sezione femminile, ma ricevette un rifiuto: «costa troppo»); 2) tentò di pagarsi da sola quegli studi (dal 1867 e durante quattro anni lavorò come istitutrice per mettere da parte il denaro necessario, ma la famiglia le negò un’altra volta il permesso chiedendole di aspettare «altri cinque anni, fino alla maggiore età»); 3) accettò la proposta di matrimonio di un vecchio pretendente per liberarsi della sottomissione della madre (e del padre), senza sospettare che sarebbe andata incontro a una subalternità e a doveri peggiori (nessuno le aveva spiegato cosa sarebbe accaduto la prima notte di nozze e le notti successive e lei fece quello che poté per evitare una seconda maternità non desiderata) e a una identica mancanza di indipendenza economica (il suo primo libro fu un successo e, secondo la legge, tutti i proventi spettavano al marito, ma lei si batté per tenerli, invece, per sé).

Diventata famosa, la fama le offrì una rivalsa, «la rivalsa un profitto, quest’ultimo la libertà, ed ecco a portata di mano la sua aspirazione più grande: poter decidere di sé e della propria vita. Tutto quello che le manca».

Non ci fu un lieto fine, e la vita di Benedictsson continuò a essere dura, ma la condusse secondo i suoi desideri. E sgominando il rischio di violenza economica perché senza soldi, e senza un lavoro che garantisca la possibilità di guadagnarsi da vivere, una donna non è libera di decidere per sé.

In occasione della giornata dedicata ai lavoratori, per il primo maggio dell’anno scorso, l’Istituto di ricerche educative e formative ha presentato un’indagine elaborata su dati forniti dai Caf Acli.

Era una ennesima conferma della stortura, in Italia, del lavoro definito povero, ovvero che costringe a una situazione di marginalità e vulnerabilità: erano uomini il 6 per cento dei lavoratori “continui” (attivi almeno 7 mesi su 12) con un reddito al di sotto dei 15 mila euro annui e donne il 20,9 per cento (più del triplo). In occasione di un convegno recente, a Treviso, sul tema dell’alfabetizzazione finanziaria, il vicedirettore della sede di Venezia della Banca d’Italia, Stefano Francescon, ha dichiarato che «in famiglia si parla ancora troppo poco di temi economici-finanziari» e che la scuola «sembra non colmare questa lacuna, affrontando il tema in modo marginale o del tutto assente». Nello stesso articolo, si trovano dati riferiti al nord Est secondo cui il 73% di donne sotto i 35 anni dichiarano conoscenze finanziarie medio-basse.

Terlizzi, Bari

Più o meno negli stessi giorni, dall’altra parte d’Italia, a Terlizzi, città metropolitana di Bari, una trentina di ragazze tra i 15 e i 19 anni ha partecipato a una delle giornate della prima edizione in loco, voluta dal Collettivo Zebù, di Prime Minister, progetto nazionale di inclusione e empowerment femminile (finora sono state 28 le edizioni in tutta Italia). Tema: i soldi.

Alle ragazze era stato chiesto di intervistare madri e nonne sul loro rapporto con i soldi e ne sono venuti fuori racconti di emigrazione, lavoro fuori casa (sitpendiato) e di cura dentro casa (non retribuito), figli allevati in vedovanza, risparmi, sacrifici. Quel pomeriggio merita un racconto a sé. Ero stata invitata in quanto autrice del saggio Il coraggio di contare in cui esploro proprio quella relazione e proprio nei termini in cui l’hanno sentita raccontare le ragazze: per le donne parlare di soldi significa parlare, in fin dei conti –  l’espressione a tema è voluta – della propria vita, di strade prese e che ne escludono altre, di fatica, di sensi di colpa. A una ragazza che aveva raccontato l’esperienza della madre, che ha voluto essere una casalinga, ho chiesto se farebbe la medesima scelta. Mi ha risposto: «Sì, perché la vedo felice».

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