La partecipazione degli ebrei al Movimento di liberazione nazionale antinazista e antifascista è stata finora poco considerata dalle grandi ricostruzioni di storia generale della Resistenza. Eppure, tale partecipazione, come sta emergendo chiaramente da una ricerca specifica condotta dalla Fondazione Cdec (Centro di documentazione ebraica contemporanea), è stata importante sia dal punto di vista  quantitativo, sia qualitativo.

Sono da sottolineare almeno tre elementi. Innanzitutto, l’alto numero di resistenti ebrei in rapporto al numero totale della popolazione ebraica all’inizio di settembre del 1943: le circa 40mila persone di fede ebraica rappresentavano più o meno l’1 per mille dell’intera popolazione, mentre i partigiani ebrei corrispondevano al 2,8 per mille dei partigiani italiani totali. 

Poi, la frequenza della concessione agli stessi di riconoscimenti nazionali postbellici: medaglie d’oro, medaglie d’argento e altre. Infine, la presenza di personalità ebraiche di sicura preminenza sia nel Comitato di liberazione nazionale, sia nell’Assemblea costituente attiva dopo la II guerra mondiale: si pensi soltanto a personaggi come Leo Valiani, Umberto Terracini, Emilio Sereni, Vittorio Foa, Rita Montagnana, solitamente considerati “madre e padri della patria”.

La lotta

Quando si parla di Resistenza, vengono subito in mente immagini di ragazzi forti, armati fino ai denti, pronti ad ogni battaglia. Ma non è proprio così. I partigiani erano spesso in condizioni miserevoli, costretti a marce di chilometri per far perdere le loro tracce, in mezzo a disagi, in preda a freddo e fame. Talvolta terrorizzati di essere catturati e torturati per confessare le informazioni di cui erano a conoscenza. Il loro eroismo stava piuttosto nella scelta di preferire quella vita piuttosto che aderire alle sirene delle autorità fasciste che promettevano perdono, immunità e ricompense. 

Anche gli ebrei che aderirono alla Resistenza operarono una scelta precisa. Nel biennio 1943-1945 avevano davanti, per sopravvivere, poche possibilità: cercare di sconfinare nella neutrale Svizzera, celarsi sotto falsa identità, diventare resistenti.

La lotta per loro si svolse su vari piani: lotta in difesa della vita propria e quella dei propri famigliari, lotta per il mantenimento della propria integrità fisica e morale, lotta per il diritto di aiutare gli altri, lotta per morire secondo modalità scelte e non imposte.

In famiglia

Da notare anche un altro dato significativo, analizzando i nomi è facile notare che alla Resistenza gli ebrei parteciparono in maniera famigliare, ovvero si possono trovare componenti dello stesso nucleo famigliare, padri e figli, fratelli e sorelle. La regione dove probabilmente vi furono più partigiani ebrei fu il Piemonte.

L’opposizione al fascismo si declinò in vari modi, sia con la cospirazione politica, sia con la lotta armata, sia partecipando a organizzazioni clandestine di soccorso.

Abbiamo esempi importanti in ognuna di queste attività. Premettiamo che le preferenze degli ebrei andarono ai due partiti più organizzati della Resistenza, il Partito comunista e il Partito d’azione, un partito questi, nato nel 1942 in risposta ai disvalori del fascismo, prospettando per l’Italia una democrazia partecipativa, guidata da intellettuali di grande calibro.

Per la cospirazione politica anche precedente all’8 settembre del 1943, gli esempi sono numerosi, ricordiamo almeno Giulio Supino, Leone Ginzburg, Emanuele Colorni, Mario Paggi.

Ricostruzioni

La lotta armata fu condotta da un migliaio di ebrei sui cui nomi la Fondazione Cdec sta facendo un censimento nazionale. La ricerca viene convogliata sui documenti conservati dalla Fondazione stessa e sul fondo archivistico costituito nell’immediato dopoguerra da commissioni regionali per il riconoscimento delle qualifiche e delle ricompense ai partigiani (Ricompart), che è stato versato pochi anni fa all’archivio centrale dello stato.

Si sono scoperte persone che si sono  lanciate col paracadute oltre le linee nemiche dai servizi segreti alleati come Enzo Sereni, Renato Levi o Luciano Servi; persone che si fecero catturare pur di coprire la ritirata dei compagni come Rita Rosani o Mario Jacchia; combattenti nella guerriglia urbana come Giorgio Formiggini o Alessandro Sinigaglia; giovani come il tredicenne Franco Cesana (1931) o Raffaele Del Vecchio (1928), anziani come Luigi Zarfati (1891) o Edoardo Della Torre (1894); intellettuali come Emanuele Artom o giovani popolani come Emanuele Calò; capi brigata come Mario Levi e perfino capi Divisione come Hermann Wigoda.

Esperienze digitali

Oggi queste memorie presenti nel Ricompart sono state digitalizzate e messe all’interno del portale resistentiebrei.cdec.it. Un sito, inaugurato nella primavera del 2022, dove sono presenti una parte cospicua delle biografie dei resistenti ebrei.

Così online si trovano i database dove ricercare le varie persone con i documenti ad essi attinenti. Tra le sezioni del sito c’è anche una parte specifica intitolata “Vivere da resistenti”, dove è possibile conoscere 10 parabole di vita particolarmente significative ed esemplificative dell’impegno degli ebrei nella Resistenza: tra i vari ricordiamo Pino Levi Cavaglione, Alessandro Sinigallia, Matilde Bassani e Lea Loewenwirth.

Per la ricorrenza della Liberazione di quest’anno è prevista un’ulteriore implementazione, altri 60 nomi provenienti da Liguria e Emilia Romagna e, cosa più importante, la presentazione di cinque storie esemplari attraverso cinque podcast per la regia di Lorenzo Pavolini e le musiche originali di Manuel Buda. Questa seconda fase della ricerca verrà presentata il 18 aprile alla Fondazione Cdec dalla responsabile scientifica Liliana Picciotto e da Mario Calabresi.

Una Resistenza fluida

Se la studio confermerà la stima di mille ebrei italiani tra le file dei partigiani, questo numero fa risaltare il contributo che hanno avuto nella Resistenza, soprattutto nel confronto con altri paesi europei. Fatte salve, ovviamente, le enormi differenze sulla tipologia d’aggressione, in tutto l’est europeo vi furono circa 30mila combattenti ebrei; mentre in Francia, con oltre 300mila ebrei presenti sul territorio, l’Armée juive contava all’incirca 2mila membri.                                                                            

Merito di questa ricerca è quello di aver dato alla parola resistente un significato ampio, dinamico e se vogliamo fluido, si intende cioè «per Resistenza sia la partecipazione al movimento partigiano vero e proprio, sia la Resistenza civile in tutte le sue declinazioni: soccorso individuale o organizzato agli ebrei in pericolo, oppure atti di particolare coraggio volto alla salvaguardia e alla salvezza di altre persone».

In questo modo vengono incluse tutte quelle forme di Resistenza che lo storico israeliano Yehuda Bauer ha incluso nella parola “Amidah” – concetto storiografico oggi universalmente riconosciuto, che è un lemma che definisce la preghiera in posizione eretta degli ebrei, ovvero a schiena dritta di fronte alle avversità.

La Resistenza civile                                    

Per questo non vanno dimenticati gli esempi della cosiddetta Resistenza civile, l’opera cioè di soccorso, materiale e morale, portata ai correligionari perseguitati e resi fragili dalla situazione di estremo pericolo in cui si trovò tutta la comunità ebraica. Anche in questo caso, abbiamo esempi luminosi come quello di Mario Finzi, Goffredo Pacifici o Carlo Morpurgo, arrestati durante la loro attività di fabbricazione di documenti falsi o di accompagnamento alla frontiera e morti lontano dall’Italia.

Ricordare il contributo anche degli ebrei alla Resistenza è opera di grande valore perché è,  implicitamente, un’indicazione per i giovani di oggi di inseguire l’etica del coraggio e della giustizia.

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