Avete presente quando una ragazza dice di essere strana? Bè, io lo sono davvero. Davvero tanto. Sono un buon esempio del concetto di Complex female character nella sezione film diretti da donne di Netflix. E così, quando sono stanca di fare swipe left e swipe right su Tinder, salgo su un’ipotetica macchina del tempo con i miei tacchi migliori e mi masturbo immaginando la filosofa Hannah Arendt fare un pompino a Martin Heidegger nella capanna che si era costruito a Todtnauberg. Lei in un tempo antecedente allo scoppio della Seconda guerra mondiale era stata una sua studentessa con la quale lui aveva un affaire. Poi lettere, lettere, lettere. Poi ben poco, lui non lasciò mai la moglie.

Quella capanna il filosofo se l’era costruita per ripararsi da un sacco di cose: dalla guerra che ormai era scoppiata, dal suo matrimonio asfittico, dalla monogamia tutta, da Berlino, da Hitler e dal materialismo filosofico e non.

Colpo di scena: prima che lui venga, Hanna si ferma per un interminabile un attimo, poi si avvicina al giradischi e mette il vinile di Born to Die di Lana Del Rey. Un giorno scriverò un grande film porno per tutti i sapiosessuali d’Italia. Credeteci.

Come ogni comic persona, ho paura di tante cose. La cosa che mi fa più paura di tutte è volare. Anche al buon Jean Paul Sartre non piaceva, del resto, noi filosofessi siamo così: dolcemente complicati.

Mi sembra davvero ontologicamente insostenibile il pensiero che l’umanità tutta abbia deciso come mezzo prediletto per gli spostamenti uno in cui delle persone (retribuite) ti dicano cosa fare in caso di incidente.

Per la morte

Funeral of German philosopher Martin Heidegger on 28 May 1976 in Messkirch (Germany). | usage worldwide Photo by: Rolf Haid/picture-alliance/dpa/AP Images

La cosa che vorrei sentire più di tutte, prima del decollo, è la hostess leggere i passi sul concetto di essere-per-la-morte (Sein Zum Tod) così come teorizzato da Heidegger in Essere e tempo. Se fossi Woody Allen qualcuno mi avrebbe già dato del genio non credete? Un giorno, lo giuro, scriverò un grande film comico d’autrice per i pochi italiani ai quali non piace Checco Zalone.

Per Heidegger, infatti, un’esistenza si configura come autentica solo quando la morte si palesa e ci fa percepire la nostra finitudine (quindi non saremmo umani se non avessimo paura di volare). Ogni scelta che facciamo, anche prenotare un volo low cost o decidere di ingoiare lo sperma di uno che fuma Malboro rosse, ebbene sì, risulta assoluta proprio nella prospettiva di questo limite ultimo.

In una vita eterna non vorremo essere famosi o far venire il nostro amante con un pompino da dieci e lode. Heidegger se la prende anche con il linguaggio della chiacchiera che permea il discorso sulla morte e condanna il “si” passivante con il quale diciamo “si muore”. Che nel caso dell’aereo potrebbe essere il “mettetevi la mascherina” e “scendete dallo scivolo”.

Nati per morire

Ma vi pare? A questo “si”, a questa chiacchiera funebre, a questo scivolo, a questa Trauermarsch fonetica, anche Lana Del Rey si oppone ed è quindi profondamente heideggeriana proprio nel testo di Born to Die quando canta: «You and I, we are born to die»; io e te che adesso facciamo sesso su una vecchia auto restaurata e ci fumiamo degli oppiacei, sì io con le mie Converse rosse e tu pieno di tatuaggi e piercing siamo nati per morire. E lo stiamo facendo in ogni micro istante di questi 4.46 minuti in mondovisione su YouTube.

Perché a ben vedere, o sentire, l’orgasmo alla fine altro non è che un coro di voci durante una messa da requiem. Pensiamo solo al viso di Marilyn Monroe, l’icona del sesso morta suicida - una distesa di acqua clorata perimetrata è la sua tomba nell’immaginario collettivo.

Come sorta di contrappasso, invece, il filosofo Georges Bataille ne L’erotismo (1951) afferma come sia proprio attraverso l’eros che il singolo riesce a esperire la morte in vita, il suicidio dell’individualità, la sua dissoluzione materica, viene operata dall’intensità del godimento che la attraversa nel momento del piacere.

L’icona pop contemporanea che meglio incarna il concetto di morte attraverso una risemantizzazione dell’erotismo è a mio avviso Lana Del Rey. La sua grande operazione concettuale è quella di prendere l’immaginario estetico della Golden Age Hollywoodiana per mostrarne la sua essenza ontologicamente tragica: il nulla, l’abisso, la necrosi.

Niente difatti ti mette di fronte alla morte come il diventare un idolo nella tua vita o fare della tua vita un qualcosa di idolatrabile. Nella Società dello spettacolo secondo Guy Debord l’essere per apparire si configura sempre come la più radicale attestazione di morte; ogni singolo momento in cui appariamo in maniera spettacolare non facciamo altro che ricordare al mondo la transitorietà del nostro passaggio. Ma anche la sua profonda e necessaria assolutezza.

Non a caso il primo videoclip che rese famosa Lana Del Rey fu Born to Die. E il paradosso non potrebbe essere più evidente: questi 4.46 minuti esistono, sono stati prodotti e sono visibili in streaming su YouTube perché ci dicono: voglio diventare famosa, ma sono anche il mio testamento. Vediamo la sua morte scenica realizzarsi proprio nel video.

Coefficiente funebre

FILE - This Jan. 28, 2018 file photo shows Lana Del Rey at the 60th annual Grammy Awards in New York. Del Ray is a multiple Grammy nominee this year with nods for Album of the year for and song of the year for “Someone You Loved,” with Jack Antonoff. (Photo by Evan Agostini/Invision/AP, File)

Tutto è finto e tutto è destinato a tornare nel nulla una volta che il minutaggio del video si esaurisce. La corona di fiori, le due tigri in un contesto ecclesiastico sconsacrato, l’incendio, il trucco, l’amore, il sesso consumato dentro alla macchina da On The Road.

Ogni mise en scène altro non è forse che un memento mori con poco senso del pudore? Il tema della morte è centrale nell’opera di Lana; pensiamo a canzoni come Young and Beautiful, Dark Paradise, Hollywood’s Dead, Summertime Sadness (che parla del suicidio di una sua amica), Chemtrails over the Country Club, siamo di fronte a una decostruzione estetica dell’American Dream.

Che dire poi della sua ultima scelta radicale del settembre 2020 di lasciare Instagram; e di morire simbolicamente attraverso la scelta antistorica del nichilismo digitale? Il sogno americano diventa un qualcosa di dignitoso e con un potenziale rivoluzionario da raccontare ancora oggi solo se siamo coscienti del suo coefficiente funebre.

«I wish I was dead already», così dichiarò nella celebre intervista che rilasciò a The Guardian nel giugno 2014. Il suo stesso essere rifatta ben lontano dal narcisismo o dell’essere il contrapposto analogico di un Plastic Surgery Filter di Instagram si configura come una testimonianza quasi epidermica di quello che Heidegger in Essere e Tempo chiamava essere-per-la-morte.

La stessa figura della lolita da lei interpretata è nella sua essenza quella di una zombie travestita; che si è messa le extensions e si è fatta la nail-art con le unghie finte e glitterate, ma che resta comunque una figura elegiaca. Forse è proprio questo suo travestimento a sublimarne il portato elegiaco.

La bandiera americana che stringe spesso nei suoi video diventa una sorte di sindone pagana e i suoi video sono così dei piccoli funerali pubblici da milioni di views. E se come scriveva il buon Heidegger «per la cosa del pensiero c’è in ogni momento della storia un solo dire, il dire adeguato alla sua cosalità», oggi forse Heidegger ai versi di Hölderlin potrebbe preferire quelli di Lana. E alla capanna austera nella foresta nera un tuffo nella piscina dello Chateau Marmont.

Se ve lo state chiedendo non mi piace fare pompini ed è per questo che pur essendo una bella ragazza bionda mi dedicherò a quella forma peculiare di storytelling che è l’invenzione del primo marito, di cui Pamela Prati è regina indiscussa.

Ma se proprio un giorno riuscissi a provare piacere per un pompino, credo che sarà perché qualcuno avrà inventato i preservativi al sapore di capanna nella foresta nera. Spero davvero che ciò avvenga prima di una guerra nucleare. Durex can you hear me?

Giada Biaggi conduce il podcast Philosophy & the city, il primo podcast che vuole introdurre la sexiness nel mondo della cultura. Laureata in filosofia, è una scrittrice e Stand up comedian.

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